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L'università Mediterranea di Reggio Calabria

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È sempre un bene quando l’Università esce dall’Università, quando cammina sul territorio e mette a disposizione dei cittadini e della politica le sue ricerche, come è accaduto alla Mediterranea di Reggio. Purtroppo però, nelle giornate dedicate all’uso dei fondi Ue in Calabria dal 2000 al 2020 la politica non c’era. Ma siccome lo studio ha riguardato tutto il Sud, con il coinvolgimento di altri Atenei meridionali, c’è la possibilità di prenotarsi per il 20-21 giugno, quando l’indagine avrà un respiro ancora più ampio, o di leggere online i report. Nel frattempo, possiamo imparare qualcosa dalle conclusioni che ne hanno tratto i/le docenti.

Per una strana congiunzione astrale, negli stessi giorni il presidente della Regione Occhiuto ha firmato un protocollo con la Guardia di Finanza per un monitoraggio sull’uso dei Fondi, oltre tre miliardi nell’arco 2021-2027. Certi precedenti – truffe e cattedrali nel deserto – inducono alla prudenza. Oltretutto quest’anno la nostra regione ha fatto il pieno, a differenza degli anni passati, in cui eravamo campioni della richiesta a tempo scaduto.

Evviva, e che cosa potrebbero imparare gli amministratori locali da queste ricerche? Andiamo per punti.

  1. Non possono avere tutto e subito, ed è fortemente sconsigliato usare i fondi in chiave elettorale.
  2. I cittadini vanno ascoltati, perché un progetto calato dall’alto parte male. La Convenzione europea del paesaggio ha ribadito la centralità della popolazione. Se gli abitanti non sentono un progetto come proprio, frenano.
  3. Lo spoils system (e cioè il ricambio dei dirigenti) è spesso dannoso: si toglie il manager bravo per mettere quello fedele. E si perde un sacco di tempo.
  4. Gli appalti allungati e poi la fretta di chiudere i lavori sono esempi sbagliati di sviluppo. Gli interventi pro-consenso sono dannosi.
  5. Non è la legge a creare una governance efficiente, la “qualità dei governi” pesa.
  6. La Regione deve essere amica, deve ascoltare. In qualche caso l’apparato è sembrato non preparato alle direttive della Ue. La struttura va deburocratizzata.
    Detto questo, nel consueto racconto della Calabria in bianco e nero, mare e montagna, sabbia e scoglio, pesce e ’nduja, città e campagna, sorella e feroce, emergono anche delle belle realtà.

Nella regione degli ultimi sono in crisi i sistemi: quello sanitario, quello scolastico etc. Ma se i sistemi si parlano, se i nodi delle reti si fanno stretti, i risultati si vedono. Per esempio – udite, udite – i fondi Ue hanno permesso a molti paesi di montagna di farsi conoscere. A piccoli borghi come S. Agata del Bianco di inventarsi un modello culturale, intorno allo scrittore Saverio Strati. L’area archeologica di Sibari, il Marc di Reggio Calabria hanno un’altra faccia e numeri alti. Bova è una piccola capitale dell’area grecanica, da cui partono camminatori e nuove idee. E i 545 chilometri della ciclovia dei Parchi sono una bella realtà, perché i presidenti dei quattro enti si sono messi d’accordo, invece di esprimere “39 pareri diversi, uno per ogni sindaco” come accadde nella Locride, in uno dei percorsi monitorati dai professori universitari.

Tutte storie ascoltate nelle relazioni di Flavia Martinelli, Chiara Corazziere, Simona Mauro, Vincenzo Gioffrè, Emanuela Chiodo, Maria Grazia Buffon. Che ha avuto un merito particolare: chiarire nelle prime due pagine il significato di 75 acronimi, da Adg a Qcs, da Feamp a Srai (il più famoso è ormai Pnrr). E qui abbiamo tutti appreso il significato del verbo “pittizzare” (da Progetti territoriali Integrati). È il famoso “bruxellese” citato dal professor Antonio Russo, che poi sarebbe anche “burocratese”. Un linguaggio per tecnici che è tutto il contrario della tanto invocata trasparenza.

In ogni caso avanti così, ma non bastano l’entusiasmo e la motivazione. Perché il Museo di Locri sarà certo uno splendore, ma è spesso irraggiungibile: in mezzo a fondi per il bob d’estate, il paracadutismo e altre amenità lette nelle proposte dei Comuni, bisognerà trovare il modo di stabilire collegamenti certi fra i poli di cultura e le stazioni, favorire i mezzi pubblici. Lampi di intermodalità visti negli ultimi giorni (per esempio con la Villa romana di Casignana) fanno sperare. “Gli attori cominciano a parlarsi” è stato detto dai microfoni. Bisogna vedere in che modo però: guardate alla questione città unica Cosenza-Rende-Castrolibero, che ha fatto capolino nelle relazioni: il Quotidiano ne scrive da mesi, nel tentativo di superare contrapposizioni novecentesche.

Un capitolo a parte merita il porto di Gioia Tauro, questo piccolo miracolo sezionato da Giuseppe Fera, che ha ricordato il grande vuoto del retroporto, la tanto agognata Zona Economica Speciale. Sempre a proposito delle scelte della politica, è ritornata fuori la famosa telefonata che l’allora ministro dei Trasporti, il genovese Claudio Burlando fece al presidente delle Ferrovie Necci ai tempi del governo Prodi, una vicenda mai smentita: “Se fai partire anche un solo treno da Gioia Tauro, ti caccio”.

Ci sono voluti vent’anni, ma lo scalo ora ha la sua ferrovia, con performance di livello europeo, come ha ricordato Russo. Manca ancora la Zes, le aziende grandi e piccole che lavorano in sinergia con il porto e le sue merci: non facciamo passare altri vent’anni.

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