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Il porto di Gioia Tauro

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GIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) – L’altro ieri questo giornale ha titolato in prima pagina: “Se chiude Gioia Tauro perde la Calabria” (LEGGI L’ARTICOLO), un titolo forte che fa da apripista ad una battaglia che non può non vederci impegnati da protagonisti interessati a difendere un’infrastruttura, come il porto, da tutti ritenuta strategica per questa Regione per i numeri che fin qui ha prodotto.

L’apertura del porto risalente ormai a 30 anni addietro viene considerata da storici ed economisti come la seconda occasione produttiva dopo la riforma agraria del 1950 che aveva la duplice finalità di redistribuire più equamente la terra migliorandone al tempo stesso la produttività. Nel redistribuire la terra dai grandi proprietari verso i piccoli proprietari, si cercò di favorire una più equa distribuzione del reddito. Inoltre, eliminando le zone scarsamente produttive del latifondo, si cercò di aumentare la produttività della terra delle zone riformate modificando i prodotti o le tecniche. I risultati si cominciarono a vedere un decennio dopo. Da allora il nulla, tranne alcune cose arrivate in altre zone della Calabria, ma non a Reggio, conseguenza del varo del cosiddetto “Pacchetto Colombo” dopo i moti di Reggio Calabria e il varo delle Regioni. L’UniCal di Cosenza è una delle più grandi conseguenze di quei moti, forse la sola. A Reggio il V Centro Siderurgico fallì prima di nascere, così le industria chimiche di Saline.

Restò la costruzione del porto di Gioia Tauro, imponente ed inutilizzato per quasi un ventennio, fino a quando, dopo le resistenze della Centrale a carbone, non venne l’idea di utilizzarlo come hub di transhipment. Era il 1995 quando entrò in funzione con l’arrivo della prima nave portacontainer. E fu subito un successo osteggiato dalle storiche lobby portuali italiane e non solo. Gioia Tauro e la Calabria divennero famosi nel mondo, e in tutto il globo si cominciò a parlare di quel porto che per i numeri che produceva seminava successi uno dietro l’altro vista la sua posizione baricentrica sull’asse Suez – Gibilterra. Un’operazione sgradita a molti. Gioia Tauro dovette lottare contro chi ha bloccato per decenni l’attivazione dell’intermodalità, contro chi non ha saputo costruire e realizzare nel suo retro porto progetti mirati ad utilizzare quelle aree uniche nel panorama mondiale della portualità e della logistica. Strani registi interni ed esterni alla Calabria che ancora oggi continuano ad esercitare la loro nefasta opera negando, per esempio, la possibilità di sdoganare la merce che entra in Italia nel primo porto di arrivo e cioè Gioia Tauro. Operazione che potrebbe dare un gettito economico di miliardi di euro di dazi doganali all’anno nella nostra Regione

Ma perché si afferma che se “chiude Gioia Tauro perde la Calabria”? I numeri del porto di Gioia Tauro servono a delineare uno scenario che non tutti conoscono. Cominciamo dall’occupazione diretta e dell’indotto: oltre 4000 persone che maturano un gettito annuo solo di stipendi che ovviamente finisce nell’economia regionale che supera un miliardo e mezzo di euro all’anno. Manodopera ben distribuita su tutto il territorio regionale. A Gioia Tauro lavorano uomini e donne della Piana, di Reggio Calabria, della Locride, del Vibonese, del Catanzarese, del Cosentino. Il porto di Gioia Tauro ha facilitato l’import – export regionale facilitando i commerci e quindi la crescita delle aziende calabresi che hanno ridotto i costi del trasporto in maniera significativa. Ogni anno da e per la Calabria partono ed arrivano dallo scalo gioiese oltre 70 mila container di merce lavorata o da lavorare. Altrettanti dalle regioni limitrofe. Operazioni che prima si svolgevano a Genova, a Livorno o, a La Spezia. Decine di aziende calabresi lavorano nell’indotto portuale nella manutenzione in vari settori, servizi, forniture di vario genere, appalti pubblici e privati, nelle assicurazioni etc. etc. generando secondo calcoli degli esperti, un ritorno economico che raggiunge i due miliardi di euro. Rispetto ai 32 – 33 miliardi di euro del Pil totale calabrese (pubblico e privato) i rapporti economici sentenziano come quasi il 50% del Pil privato regionale si generi dalle attività portuali e dall’indotto del Porto di Gioia Tauro, che oggi è in forte espansione in atto dalla seconda metà del 2019 e che vede la movimentazione di container cresciuta nel 2022 di oltre il 7 per cento sfiorando i 3,4 milioni di teus, un dato vicino al picco raggiunto nel 2008; è triplicato anche il traffico del terminal autovetture.

Nel corso dell’anno è stato potenziato, inoltre, il trasporto intermodale delle merci con l’istituzione di due corridoi ferroviari veloci (fast corridor) con gli interporti di Bologna e Padova che consentono di espletare le procedure doganali di importazione delle merci direttamente presso gli snodi logistici di destinazione. Ma tutto questo potrebbe presto essere cancellato alla luce delle pesanti multe che la direttiva Ets della Comunità Europea sull’impatto ambientale imporrebbe alle linee di navigazione rendendo far scalare il Porto di Gioia Tauro antieconomico, privilegiando gli scali del nord Africa. Come se inquinare nei paesi del Magreb non avrebbe gli stessi effetti anche in Europa. Un’operazione kamikaze che imporrebbe il venir meno di ogni prospettiva di crescita dello sviluppo socio-economico della Calabria.

Finirebbe, così per ragioni che abbiamo spiegato approfonditamente nelle pagine di questo giornale, la visione del porto di Gioia Tauro, come leva di sviluppo non solo della regione ma dell’intero Paese che potrà offrire anche nuove opportunità al settore energetico nazionale. «Nel Mediterraneo, il Sud Italia costituisce il settimo sistema portuale per traffico merci e, in questo contesto, – si legge in un report della Fondazione Ambrosetti – il porto di Gioia Tauro è oggi punto di riferimento nel transhipment (il trasbordo, ovvero l’operazione di trasferire il carico merci da un mezzo di trasporto ad un altro) in Italia e nel Mediterraneo, diventando in questi anni il 1primo da Paesi extra Ue passa infatti per Gioia Tauro, infrastruttura che presenta caratteristiche competitive uniche: dimensioni del porto canale (lunghezza 3,4 km, larghezza 250 mt e profondità fino a 18 mt), il più grande d’Europa, dimensioni dei piazzali (più di 200 ettari in concessione), il più grande d’Italia, connettività (fornitura di servizi in loco tramite 2.000 gb di cablaggio), unico porto italiano a poter ospitare 4 giga navi contemporaneamente, unico porto italiano a poter ospitare treni di lunghezza superiore a 750 metri. Gli investimenti infrastrutturali hanno reso già oggi il porto di Gioia Tauro il primo in Italia per indice di connettività nel 2022 grazie ad una crescita del +101% rispetto al 2006 superando anche il porto di Genova nel 2020. Questo risultato è stato possibile anche attraverso un costante processo di efficientamento dei collegamenti ferroviari, grazie ad esempio alla realizzazione del primo “fast corridor” del Mezzogiorno, nuovo collegamento tra Gioia Tauro e l’interporto di Bologna, e all’accordo per la creazione di un nuovo hub ferroviario a Gioia Tauro tra la regione Calabria e Rete Ferroviaria Italiana».

Ma questo sogno nato nel 1993 con la stipula del protocollo d’intesa che ha portato alla sua apertura, potrebbe presto tramutarsi in dramma collettivo, quasi nell’indifferenza generale. Una mazzata terribile per questa Regione che verrebbe definitivamente affossata.

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