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La presidente del Consorzio di tutela della Doc di Bivongi Adele Anna Lavorata

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La riflessione della presidente del Consorzio del vino Bivongi Doc Adele Anna Lavorata nei giorni del Vinitaly: « Ora si punti sul turismo enologico»

BIVONGI (RC) – Il Vinitaly di Verona è la vetrina più importante. Appuntamento imperdibile per farsi conoscere e apprezzare dai buyer di tutto il mondo, consolidare rapporti con clienti storici e conquistare nuove fette di mercato in un settore, quello del vino, in costante crescita su scala globale.

La Calabria c’è. E quest’anno – ha assicurato la Regione – ha giocato un ruolo da protagonista grazie alla presenza di ben 120 aziende e ad uno spazio espositivo di oltre 1400 metri quadri in due padiglioni, con un allestimento completamente rinnovato centrato sui tratti identitari della regione italiana dove il vino affonda più che altrove le sue antichissime radici.

Un comparto economico in crescita anche sul territorio calabro, che conta oggi circa 170 cantine e una produzione stimata in oltre 16 milioni di bottiglie l’anno, distribuite in nove Doc e dieci Igt e che registra – specie grazie ai produttori più giovani – significative innovazioni indirizzate alla ricerca della qualità, alla riconoscibilità del prodotto e alla sua affermazione nei circuiti del settore.

Vino Bivongi Doc marchio in crescita

Tra le realtà maggiormente in ascesa per qualità e presenza sul mercato del “Made in Calabria”, quello estero in particolare, vi è la Doc di Bivongi la cui produzione si concentra sul versante orientale delle Serre, nel territorio tra la vallata dello Stilaro e la costa ionica ricompreso tra i comuni di Bivongi, Camini, Caulonia, Monasterace, Pazzano, Placanica, Riace, Stignano e Stilo, in provincia di Reggio Calabria, e Guardavalle in provincia di Catanzaro.

Qui dove il vino cresce “lungo i filari del mito”, come recita il claim scelto per la 56esima edizione del Vinitaly, si punta tutto sulle produzioni autoctone di Gaglioppo, Greco nero, Nocera, Calabrese e Castiglione, per i vini rossi e rosati, e Greco Bianco, Guardavalle e Ansonica per il Bivongi bianco. Da disciplinare, la resa per ettaro nella Doc non può superare le 13 tonnellate per il bianco e le 12 per il rosso e il rosato.

Il ruolo del Consorzio Bivongi Doc

Per promuovere il marchio e sostenerne la crescita è nato, nel 2018, il Consorzio tutela e valorizzazione delle viti e del vino Doc Bivongi che da allora si occupa, in maniera sistematica e codificata da un apposito statuto, della gestione, promozione e valorizzazione del prodotto, oltre che dell’informazione del consumatore e della cura degli interessi generali relativi alla denominazione.

Ad oggi ne fanno parte una decina di aziende, ma le porte sono aperte a tutti quei viticoltori, vinificatori e imbottigliatori che utilizzano la denominazione nel solco del disciplinare approvato nel 1996 dal Mipaaf. A marzo 2021 il riconoscimento ufficiale del Consorzio da parte dello stesso ministero delle Politiche agricole ha sancito l’autorizzazione ad operare “erga omnes” per regolamentare e garantire una maggiore qualità e trasparenza anche per le aziende non consorziate.

A guidare il Consorzio un Consiglio di amministrazione da qualche mese presieduto da Adele Anna Lavorata, amministratrice delle storiche Cantine Lavorata di Roccella Ionica, con alla vicepresidenza Cosimo Murace e Vincenzo Meli.

Valorizzare e raccontare il territorio della Doc di Bivongi

L’idea portante del Consorzio è oggi quella di raccontare soprattutto un territorio, quello che ruota attorno all’antica Kaulon in cui il vino vive da sempre in un connubio unico tra territorio e popolazione, che è uscito dalla nicchia e si appresta a giocare un ruolo da protagonista nella produzione vitivinicola regionale. Non a caso il Bivongi ottiene un apprezzamento crescente sul mercato, specie in quello della ristorazione, e segna trend positivi anche nell’export conquistando piazze in cui la qualità italiana è da sempre ricercata. Germania, Cina, Giappone su tutte.

«Incentivare il turismo enologico»

«Ma il territorio, per emergere compiutamente – sostengono dal Consorzio -, non può poggiare esclusivamente sulla buona volontà di aziende e imprenditori. Serve la consapevolezza, da parte della politica e sui tavoli decisionali, che occorre investire in infrastrutture e servizi, strade e decoro urbano, azioni mirate di marketing territoriale che possano attrarre investimenti anziché farli scappare. Serve, in altre parole, un bigliettino da visita credibile che rappresenti un incentivo a scegliere quel territorio e che inneschi processi virtuosi dei quali possano giovare le aziende, le comunità e la collettività tutta. Né più né meno di ciò che avviene in altre realtà che attorno alle produzioni enologiche hanno costruito filiere turistiche e culturali d’importanza mondiale. Quando si capirà questo, allora, potremmo dire di essere sulla strada giusta».  

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