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In 20 anni è sparita la metà degli alberi maestosi, al loro posto distese di kiweti, Gioia Tauro è sempre meno la piana degli ulivi. Sulle nuove piantagioni l’ombra del “Dormex”, fitostimolante tossico illegale ma ancora utilizzato


GIOIA TAURO – La chiamano ancora la Piana degli Ulivi, ma questo nome comincia ad essere non più corrispondente alla realtà. Fra non molto la seconda pianura calabrese, dopo quella della Sibaritide, potrà essere definita la Piana dei kiwi.
Un tempo, circa una ventina di anni fa, di ulivi se ne contavano oltre due milioni e 300 mila. Dalle colline aspromontane e delle pre Serre scendevano fino alla pianura, quasi fino al mare. Boschi secolari di piante alcune delle quali giganteschi per le quali si certificava anche un’età millennaria,

Ma c’erano soprattutto quelli secolari anche fino a cinque – seicento anni di età sparsi un po’ dovunque. Alberi con caratteristiche uniche, altissime, che fotografati dall’alto davano un colore grigio – verde al territorio. Un tappeto di ulivi che dava identità ed era custode di storie di uomini tenaci che proprio sotto quegli alberi sono nati e cresciuti. Testimoni di epoche diverse, di resistenze e ribellioni, di storie terribili, di faide e di sequestri di persona, di fughe e di abbandoni.
Oggi quel tappeto grigio appare a chiazze e non è più quello di un tempo.

Qua e là, quasi come una scacchiera gli ulivi sono stati tagliati o estirpati, venduti come monumenti del tempo e della natura, lasciando ben visibili, macchie indelebili che cambiano l’antico quadro della Piana degli Ulivi, finendo per cambiare gli orizzonti ed i paesaggi. Così dall’imbrunire della luce tra le piccole foglie tra i boschi di un tempo, ecco apparire distese di piante coperte da strane coperte o reti di plastica, che coprono le piantagioni dei frutti esotici, nuovo e più redditizio core business delle colture agricole pianigiane. E, come è lontano il tempo quando si emigrava per comprare qualche “campo o tumanata” di ulivi per garantire il reddito familiare. I “fundachi” sono ormai un ricordo del passato, impresso solo nella memoria degli anziani.

Si calcola che ogni anno nella Piana vengono tagliati dai 15 ai 20 mila alberi. Nell’ultimo ventennio si è passati dagli oltre 2 milioni e 300 mila ulivi a meno di un milione e mezzo. Ovvio che così facendo fra qualche anno tutto scomparirà nelle pieghe di una strategia che distrugge in nome del cambiamento e dei nuovi affari.
Nei 30 mila ettari che costituiscono il territorio pianigiano l’olivicoltura rappresenta una sorta di monumento ambientale che molto contribuisce alla caratterizzazione e alla valorizzazione del territorio agrario circostante. Ma tutto questo sta per scomparire. Sempre più raramente sentiremo parlare di Sinopolese” o “Scialoria” o “Ottobratica”, le qualità delle colture olivicole tradizionali della Piana.

Così come difficilmente vedremo lo stesso fascino dei boschi di un tempo, o come scriveva l’agronomo Antonio Lauro: «la maestosità degli alberi, con il verde argentato delle foglie e i grandi tronchi intrecciati che si coniugano in maniera indissolubile alla morfologia del territorio dove, nel corso dei millenni le varietà di olivo si sono differenziate ed evolute, hanno spinto numerosi studiosi ad occuparsi di questo sorprendente areale, crogiuolo di storia, cultura, arte, tradizioni che si fondono in un tutt’uno con l’ambiente in cui l’ulivo si erge a protettore, diventando, geloso custode di secolari segreti…

In queste zone il paesaggio olivicolo ha un carattere per molti versi unico, che gli è conferito dalla eccezionale età delle piante e, insieme, dalla fittezza della copertura vegetale; l’associazione di questi due fattori dà luogo a veri e propri boschi di ulivi, nei quali si riscontrano alberi con altezze imponenti (15-20 metri) e sezione al tronco di notevole superficie, estesa fino a 13 mq. Esistono anche piante che hanno una ragguardevole circonferenza del tronco di ben 16 – 18 metri come a Cittanova, Oppido Mamertina o Melicucco e un’altezza della chioma che sfiora i 30 metri».

Tutto il territorio, una volta, si presentava come una grande estensione monocolturale che era il frutto di una lenta opera di bonifica da parte dell’uomo, che nel tempo ha conquistato ad un’agricoltura produttiva un territorio inospitale. Ulivi secolari, più o meno antichi, sono presenti in tutti i comuni della Piana, anche in quelli non spiccatamente olivicoli. Essi hanno resistito, grazie anche alla longevità della specie a molte delle calamità naturali che nel corso della storia si sono succedute in questa zona.

GIOIA TAURO, IL FUTURO DELLA PIANA DEGLI ULIVI

Strana terra la Calabria dove nulla viene salvaguardato, ulivi secolari compresi. Non esiste una legge regionale su questa materia (ne fu presentata una bozza nel 2012 ma non venne approvata definitivamente). Non esistono ispezioni nella circa 18 mila aziende agricole della Piana dove ognuno fa ciò che vuole senza dare conto a nessuno.

Molti tagliano, vendono per impiantare kiwi, spesso alimentati a base di “Dormex”, un veleno tossico usato illegalmente per anticipare la maturazione di alcuni frutti della terra, un prodotto chimico “fitostimolante” in grado di risvegliare anticipatamente le piante da frutto come i kiwi. Il più conosciuto, perché ritenuto il più efficace, è il “Dormex”, un attivatore della crescita, ritenuto altamente tossico e cancerogeno. Il prodotto dal 2008 è stato vietato all’uso e al commercio, e quindi non autorizzato dal Ministero per la Salute. Tuttavia, è ancora reperibile sul mercato nero, privo di etichetta e spesso falsificato.

E nelle piantagioni di kiwi nella Piana di Dormex se ne fa uso ed abuso, nel silenzio di molti. Esisterebbero veri centri abusivi di smercio del prodotto usato nelle ore serali o notturne e che emana un odore nauseabondo. Controlli? Nessuno con buona pace per chi dirige i dipartimenti di agricoltura della Regione o i centri di ispezione agricola. Si forza la fioritura della pianta per avere più frutti e guadagnare di più a discapito della salute dei cittadini. Insomma, si sostituiscono illegalmente le piante di ulivo, per creare frutti di kiwi altamente tossici. “Hiii malanova!!!” direbbero i vecchi che hanno curvato la schiena di lavoro e sacrifici negli uliveti.

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