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L'ospedale di Polistena

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Inaugurato nel 1974 praticamente è rimasto fermo al 1974 con tutto il peso degli anni che schiaccia la struttura e pensare che l’ospedale di Polistena è l’unico presidio di emergenza urgenza in un territorio vasto come quello della Piana


POLISTENA – «Io c’ero allora quando, il 10 novembre del 1974, poco più di 50 anni fa, lo storico sindaco di Polistena Girolamo “Mommo” Tripodi insieme all’onorevole Giacomo Mancini allora ministro per gli interventi straordinari del Mezzogiorno, inaugurarono questo ospedale». Così, un anziano in attesa, parcheggiato nel Pronto Soccorso dell’ospedale di Polistena racconta. Attende da cinque ore di avere una diagnosi. E se ne sta lì perso nei ricordi.
«Fu una giornata storica per Polistena e il territorio circostante. Una struttura, nuova moderna, costata complessivamente due miliardi di vecchie lire» ricorda l’anziano che nella vita ha insegnato nelle scuole superiori per quasi 40 anni.

«La nuova struttura ospedaliera prendeva il posto della vecchia sede fondata nel 1905, con fondi privati, in prossimità della chiesa dell’Immacolata Concezione grazie a contributi privati e del Comitato Ungherese costituitosi per prestare soccorso alle comunità colpite dal terremoto che nel 1908 danneggiò gravemente anche le città di Reggio e Messina, in onore al quale prese il nome di S. Maria degli Ungheresi. Quattro piani fuori terra ed una disponibilità ben 300 posti letto, rispondeva alle esigenze dei paesi della zona ed offriva servizi di eccellenza fino a competere anche ospedali ben più grandi ed attrezzati come quello di Reggio Calabria. Lo guardi adesso dall’esterno» ci dice. «Cinquanta anni dopo, la struttura esterna, tranne alcuni interventi interni di adeguamento, è rimasta tale e quale ed i segni del tempo sono ben visibili adesso».

In effetti pochi, anzi, pochissimi, sono stati quelli esterni, con muri scrostati, mattonelle esterne cadute e spazi rappezzati alla meno peggio. Stradine interne abbandonate al loro destino, alcune anche in terra battuta, spesso avvolte dai rovi, o da cumuli di rifiuti in bella vista, come segno dell’approssimazione. Guardandolo dall’esterno ci si accorge di come tutto si sia fermato in quel lontano 1974 e come il senso abbandono pervade lo spirito di coloro che ne fanno ingresso. Eppure oltre 20 anni fa erano stati stanziati 20 milioni di euro per il suo rifacimento esterno. Soldi spariti nelle pieghe di un sistema che ha fato acqua da tutte le parti che ha lasciato la struttura nel suo attuale stato.

Dentro, i reparti restano ancora fermi al mero atto aziendale, come l’urologia e la riabilitazione, mentre l’ambulatorio di endoscopia è chiuso per mancanza di personale infermieristico. E le conseguenze appaiono drammatiche perché la situazione ha creato disagi indicibili per i pazienti che restano bloccati per giorni nei pronto soccorso in attesa di una collocazione, mentre le attività chirurgiche ordinarie sono ridotte al minimo, limitandosi alle sole emergenze. Mancano ausili banali come sedie a rotelle per spostare gli ammalati non deambulanti, tanto che si ipotizza come, forse qualcuna di esse, risalirebbe, così come alcune suppellettili sedili e sedie nelle sale di attesa, proprio al tempo di quando l’ospedale venne inaugurato, giusto 50 anni e qualche mese fa.

«Assurdo, indecente, inaccettabile, improponibile oggi. Senza dimenticare la carenza cronica di medici a cominciare dagli anestesisti che rallentano o persino bloccano gli interventi chirurgici costringendo gli ammalati a trovare fuori dalla Calabria le risposte sanitarie che forse potrebbero avere nella loro regione». Insomma quel presidio invocato per anni, per il quale hanno lottato testardamente in tanti oggi cerca di resistere tra abbandoni, insipienze, responsabilità di chi ha governato l’Azienda sanitaria provinciale reggina per tanti anni. Oggi è l’unico presidio che cerca, non garantisce, cerca di offrire servizi di emergenza ed urgenza in un territorio vastissimo come la Piana e cerca di dare, cerca, risposte sanitarie ad un bacino di oltre 200 mila persone.

«Ma quello che più di ogni cosa mi fa arrabbiare – continua l’anziano degente – sono le forme di rassegnazione dei cittadini nonostante gli appelli dei Comitati per la difesa della salute, dei sindaci, quasi sempre impotenti che si accontentano solo di promesse e di parole anziché lottare con maggiore forza. Poi ci dicono che da qui si scappa, ci si trasferisce fuori, anche per patologie banali. Una fuga senza fine che testimonia il fallimento delle classi dirigenti sanitarie ma anche la disperazione della gente, la cui pazienza potrà, – avverte il vecchio professore in pensione – però, presto finire e solo allora si capirà cosa potrà provocare la disperazione dei cittadini onesti che dalla rassegnazione se non troveranno risposte adeguate potranno passare ad altri modi di protestare forse molto più forti. Guai a sminuire la rabbia degli onesti che non hanno nulla da perdere».

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