3 minuti per la lettura
REGGIO CALABRIA – I carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile, hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di padre e figlio, ritenuti vicini alla cosca di ‘ndrangheta dei Pesce, di Rosarno. Peraltro il padre risulta gravato da due precedenti condanne passate in giudicato, sempre per ‘ndrangheta.
Le indagini da cui sono scaturiti i gli provvedimenti restrittivi di oggi hanno consentito di attribuire agli indagati gravi condotte estorsive – perpetratesi per lungo tempo – e violenze private, tutte aggravate dalle finalità mafiose, avvenute a Rosarno e Cinquefrondi. I carabinieri di Gioia Tauro hanno evidenziato l’elevatissima capacità criminale degli arrestati, espressa in molteplici occasioni con metodologie tipiche della gente di ‘ndrangheta, imponendo il proprio volere, tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale, su individui ed attività commerciali, a Rosarno e dintorni, piegati alle esigenze della cosca Pesce ed oppressi dalla loro ingerenza.
Tale modus operandi, affiancato al ripetuto ricorso ad intimidazioni – di natura fisica e verbale – si verificava in una perdurante sopraffazione ed interferenza in un’attività economica nella Piana di Gioia Tauro, nonché nella limitazione della libertà di autodeterminarsi di più individui.
Le molteplici fonti di prova raccolte hanno quindi contribuito a restituire un’immagine complessa dell’aggregato criminale, svelandone gerarchie ed operatività, delimitandone la sfera di influenza illecita e gli equilibri esterni nel confronto con paritetiche o “superiori” organizzazioni di tipo ‘ndranghetistico. L’indagine, tra l’altro ha permesso di accertare l’esistenza di una perdurante attività estorsiva ai danni di una cooperativa agricola di Candidoni, divenuta nel tempo vera e propria fonte di reddito illecito dei componenti l’aggregato familiare. L’ingerenza sull’attività commerciale, oltre che con l’indebita appropriazione mensile di parte degli utili, si sostanziava nell’esercizio di un controllo diretto de facto, che spaziava dal deciderne le assunzioni e la politica aziendale e gestionale, arrivando financo a regolare contrasti tra i dipendenti.
Tale illecito impossessamento, che nella sostanza privava i reali rappresentanti la cooperativa della libertà di autodeterminarsi in ordine all’esercizio dell’attività, si protraeva per circa diciotto anni, a testimonianza di come, l’assoggettamento di imprese, ottenuto mediante minacce ed imposizioni mafiose, sia tuttora business di primaria rilevanza per organizzazioni di tipo ‘ndranghetistico.
Si era verificato inoltre l’episodio di vessazione di un medico finalizzata ad ottenere un certificato che attestasse l’impellente necessità di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria da parte di uno dei componenti della famiglia, in quel momento in carcere. Il professionista, raggiunto anche mediante l’intercessione di un compagno di cella del detenuto e della rispettiva consorte, veniva più volte ingaggiato, sia telefonicamente che di presenza, affinché realizzasse, in tempi brevi e con modalità pedissequamente definite dalla persona in carcere, l’attestazione a questi funzionale per eludere la restrizione ed ottenere una misura alternativa alla detenzione in carcere.
Un altro episodio riguardava la reiterata compromissione della libertà dell’ex moglie di uno degli indagati lungo tutto il corso della sua relazione coniugale (già originariamente indotta dalla famiglia del marito), e successivamente al termine della stessa, a subire pressioni ed angherie finalizzate, tra l’altro, ad indurla sia a riavvicinarsi al contesto familiare dal quale si era discostata con la separazione sia a porre in essere condotte delittuose per favorire i traffici illeciti del contesto familiare degli arrestati.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA