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REGGIO CALABRIA – E’ stato arrestato Antonio Campisi, trentenne di Taurianova, latitante dopo il tentato omicidio di Domenico Signoretta, avvenuto nel maggio 2019.

Campisi è stato arrestato ad Ardore, in provincia di Reggio Calabria, e due anni fa tentò di uccidere Signoretta per vendicare l’omicidio del padre Domenico. L’uomo riuscì a ripararsi dietro a un muro della sua abitazione a Nao, frazione di Ionadi, nel Vibonese, e quindi a salvarsi nonostante fosse stato bersaglio di oltre trenta colpi di pistola.

Signoretta, ritenuto dagli investigatori l’armiere del boss Pantaleone Mancuso “L’ingegnere” e indicato dal pentito Arcangelo Furfaro di essere uno degli esecutori materiali dell’omicidio del broker della droga Domenico Campisi, di Nicotera, avvenuto il 17 giugno del 2011, scampò all’agguato e fece perdere le proprie tracce.

Questo episodio, con annessi retroscena, è contenuto a pagina 125 dell’ordinanza di custodia cautelare inerente l’operazione “Nuova narcos europea” contro il clan Molè di Gioia Tauro. Nello specifico vengono riferiti i collegamenti tra Antonio Campisi e Rocco Molè, considerato il rampollo dell’omonimo sodalizio mafioso. Secondo le indagini, i due, a bordo di una Fiat Panda, avrebbero effettuato il sopralluogo all’abitazione di Signoretta sostando nei pressi della stessa e successivamente ad un acquedotto.

Arrivati in via Pisa Campisi indicava a Molé: “La casa è quella”, e in quel momento il sistema di localizzazione satellitare registrava il transito della vettura in corrispondenza con l’abitazione di Signoretta. Casa che aveva diversi piani, e questo era stato commentato da Molè il quale aveva aggiunto che vi si poteva accedere anche dalla parte retrostante: “Sì, quindi da dietro si può andare pure… Ha tanti piani…”. I due, terminato il sopralluogo, sarebbero quindi scesi da via Giardino dove Molè aveva chiesto se da quella strada potessero uscire in modo da prendere la Ss18, ma Campisi gli avrebbe indicato un’altra via.

L’agguato teso a Signoretta era avvenuto alle 21.40, orario, scrive il gip, che «collima con la fascia oraria in cui Rocco Molè si è reso irreperibile. In base ai dati, il commando era partito da Gioia Tauro ed era composto da almeno 4 individui. Secondo lo stesso Molè, questi insieme ad altri due individui doveva trovarsi in un’autovettura, mentre un quarto li avrebbe raggiunti in seguito. Del commando faceva sicuramente parte anche Campisi, essendo stato riconosciuto dalla voce alle precedenti ore 18 circa, quando chiedeva a Molè se gli poteva portare una bottiglia di acqua. Del resto le evidenze acquisite sul sopralluogo compiuto alcuni giorni prima forniscono un quadro indiziario univoco in ordine al ruolo dei due nella pianificazione dell’attentato alla vita di Signoretta.

Le ulteriori circostanze indiziarie sono inoltre dimostrative che i due, unitamente ad altri complici non meglio identificati, hanno partecipato anche alla fase esecutiva del delitto in parola».

Passando ora al movente del riferito tentato omicidio, si «può affermare – rilevava ancora il magistrato – che una della causali poteva essere stata la scoperta, che a uccidere il padre di Campisi, erano stati proprio Signoretta e Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone detto “l’ingegnere”». Ad affermarlo era stato il collaboratore di giustizia Furfaro: “Rocco Molè inoltre, prima ancora che io venissi tratto in arresto, era in rapporti con il figlio di Campisi che poi verrà ucciso da Dominico Signoretta e Giuseppe Mancuso su mandato di Pantaleone Mancuso detto “l’ingegnere” e Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” per contrasti legati al traffico di stupefacenti”. Pertanto, tale scoperta può «aver ingenerato sentimenti di odio e di vendetta nei confronti di Signoretta che peraltro era stato già indagato nell’operazione “Mediterraneo” per traffico di sostanze stupefacenti, condotta dalla Dda di Reggio Calabria proprio contro la cosca Molè di Gioia Tauro».

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