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REGGIO CALABRIA – Dalla Lombardia alla Svizzera per mettere in piedi un traffico di sostanze stupefacenti con l’Italia e per sfuggire alla morsa del 416 bis. C’è la “Locale” di ‘ndrangheta di Fino Mornasco, nella sua articolazione elvetica, tra i filoni principali dell’inchiesta “Nuova Narcos Europea”, finita nella rete della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Se non fosse che si trova in provincia di Como, la piccola cittadina di Fino Mornasco potrebbe essere scambiata per un paese della provincia di Reggio Calabria.
Un accostamento non nuovo a causa della forte presenza di calabresi sul territorio. Calabresi di Giffone, in particolare, piccolo borgo incastonato tra le pendici dell’Aspromonte che svetta sulla Piana di Gioia Tauro. Una presenza forte, quella giffonese in terra lombarda, sia a livello politico (per un decennio il sindaco è stato un giovane originario proprio di Giffone) che civile, tanto da costruire una chiesa da intitolare a San Bartolomeo, il cui culto è molto sentito proprio come a Giffone.
Nel 2014, in seguito allo stop alle processioni ordinato dalla diocesi di Oppido-Palmi dopo “l’inchino” della statua della Madonna davanti alla casa del boss Mazzagatti, si disse che molti pellegrini calabresi si sarebbero diretti proprio a Fino Mornasco per rendere omaggio al santo che in Calabria non gli era possibile venerare. Seguirono polemiche e smentite ma ciò che emerse, un’altra volta, fu la solida presenza calabrese nel piccolo comune comasco.
A Giffone, come accertato in alcune indagini, è legata un’altra “presenza” calabrese di Fino Mornasco: quella della ‘ndrangheta. Sfuggita alle operazioni “Crimine” e “Infinito”, la “Locale” di Fino Mornasco venne fuori in seguito all’operazione “Insubria” che andò a delineare ulteriormente la geografia ‘ndranghetistica in Lombardia. Saldamente legata alla casa madre giffonese, la “Locale” di Fino Mornasco visse una fase di riorganizzazione dopo l’arresto di colui che ne era considerato il capo, Michelangelo Chindamo.
Parte degli affiliati, o presunti tali, secondo quanto emerge nel fermo per indiziato di delitto emesso dalla Dda milanese, avrebbero puntato i fari oltralpe, in Svizzera, per continuare a fare affari illeciti. L’operazione andata in scena ieri, infatti, «ricostruisce l’attuale operatività della locale di Fino Mornasco ed il suo sconfinamento sul territorio elvetico, ove parte degli affiliati diretti da Pasquale La Rosa (figlio di Giuseppe La Rosa, già condannato in via definitiva per 416 bis c.p. quale capo della locale di Giffone) si sono stabilmente insediati dedicandosi ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia sul territorio del Cantone di San Gallo». Ciò, scrivono gli inquirenti, «nella convinzione apertamente dichiarata di poter operare con maggiore libertà su tale territorio godendo anche di una minore afflittività delle sanzioni previste in tale ordinamento».
In Svizzera, infatti, non esiste il 416 bis, e ciò avrebbe fatto stare molto più tranquilli i presunti affiliati spostatisi al di là delle Alpi. Tra “mangiate” a base di carne di capra (che per gli investigatori sarebbero state vere e proprie riunioni mafiose) e assunzioni fittizie per evitare eventuali espulsioni o controlli della Polizia in territorio elvetico, la costola della “Locale” comense avrebbe messo in piedi una florida attività di spaccio. Un andirivieni tra l’Italia e la Svizzera finalizzato, secondo gli inquirenti, a trasportare cocaina da spacciare in terra elvetica. Per la Dda di Milano che ha seguito questa parte dell’operazione, il capo del sodalizio sarebbe Pasquale La Rosa, arrestato nel giugno del 2020 proprio mentre trasportava a bordo di un’automobile 1,2 chilogrammi di cocaina. Un fatto che, secondo gli inquirenti, dimostrerebbe oltre all’attività di traffico di stupefacenti anche le grandi disponibilità economiche del gruppo.
A raccogliere le redini di Pasquale La Rosa dopo il suo arresto sarebbe stato lo zio Michelangelo La Rosa, che avrebbe avuto il compito di tenere in piedi l’attività precedentemente guidata dal nipote e intrattenere i rapporti con i sodali su territorio elvetico. Accuse che ora attendono di essere vagliate dal Gip.
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