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Roberto Lo Giudice e la moglie Barbara Corvi

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REGGIO CALABRIA – E’ stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario il calabrese Roberto Lo Giudice, marito di Barbara Corvi, la donna che scomparve da Montecampano di Amelia il 27 ottobre del 2009, all’epoca 35enne.

La svolta è arrivata questa mattina, dopo 12 anni durante i quali le sorelle di Barbara non hanno mai smesso di chiedere giustizia. Recentemente la donna era stata inserita tra le vittime di mafia da Libera, per chiedere verità sulla sua scomparsa. Il primo fascicolo con reato di sequestro era stato archiviato dalla Procura di Terni nel 2014, dopo 5 anni di indagini.

Nel febbraio 2020, tramite la trasmissione “Chi l’ha visto”, le sorelle di Barbara avevano chiesto alla Procura di riaprire le indagini. E lo stesso programma di Raitre, a settembre, svelò che il marito e il cognato della donna erano indagati per omicidio e occultamento di cadavere.

Questa mattina all’alba i carabinieri di Terni hanno dato esecuzione a un ordine di carcerazione per omicidio volontario nei confronti di Lo Giudice, che Barbara aveva sposato giovane nonostante la famiglia non approvasse la frequentazione con quell’uomo arrivato dalla Calabria con un cognome legato a una cosca di ‘ndrangheta. Da lui aveva avuto due figli, insieme gestivano due negozi di prodotti per l’agricoltura.

Pochi giorni prima di quel 27 ottobre 2009 in cui non rientrò a casa, aveva rivelato al marito la sua relazione extraconiugale con un altro uomo. Particolare inquietante è che la moglie del fratello di Lo Giudice, legato all’omonima cosca di ‘ndrangheta, era stata uccisa nel 1994 a Reggio Calabria, perché aveva un amante mentre il marito era in carcere. 

 «Ricostruendo la storia di Lo Giudice – ha detto il procuratore capo di Terni, Alberto Liguori – del perché si fosse trasferito qui dalla Calabria e analizzando il caso della cognata di Barbara, Angela Cosentino, anch’essa uccisa, abbiamo intravisto l’esistenza di un legame tra i due fatti di sangue. Il movente comune: la gelosia. Ho sentito quella donna vicina per tutto il corso dell’ultimo anno».

Nella prima fase delle indagini le carte parlavano di allontanamento volontario, tesi a cui la famiglia di Barbara non aveva mai creduto. Mesi dopo la scomparsa arrivò una cartolina per i figli con scritto che aveva bisogno di stare un po’ da sola, ma la perizia calligrafica rivelò che quella non era la sua scrittura.

«Balza agli occhi – ha spiegato Liguori – come Barbara si fosse allontanata senza portare con sé documenti o indumenti, nemmeno una borsa. Abbiamo ascoltato l’indiziato, i suoi familiari e portato a galla le intimidazioni e i depistaggi che hanno costellato questa vicenda, finché l’autorità giudiziaria non ci ha dato ragione». L’interrogatorio di garanzia dell’uomo è atteso nei prossimi giorni.  

Gli investigatori escludono la matrice mafiosa, seppur Lo Giudice, originario di Reggio Calabria ma da anni residente nel comune ternano, sia legato all’omonima cosca di ‘ndrangheta e si muova in un ambiente in cui «la donna non ha autonomia e ogni tradimento deve essere lavato con il sangue».

«Riteniamo – ha spiegato il procuratore – che l’omicidio si iscriva in un contesto di famiglia d’origine in cui quando un rapporto si interrompe, gli istituti di civiltà come separazioni e divorzi non sono contemplati, a favore di soluzioni di giustizia domestica, privata». 

In una delle intercettazioni ambientali raccolte nel corso delle indagini, una persona ancora ignota afferma: «Penso che sia stata sciolta con l’acido». È stato reso noto nel corso della conferenza stampa del procuratore capo di Terni, Alberto Liguori. che ha coordinato le indagini avvalendosi del contributo di tre collaboratori di giustizia.

«I misteri che avvolgevano le prime investigazioni – ha spiegato – sono stati chiariti anche grazie al contributo offerto da plurimi collaboratori di giustizia un tempo facenti parte del clan Lo Giudice, quelli delle bombe ai giudici di Reggio Calabria del 2010».

Il corpo della donna non è mai stato ritrovato. Lo Giudice avrebbe agito in concorso con il fratello Maurizio, anche lui indagato. Tra le intercettazioni ambientali, Le indagini di Arma e Procura hanno portato anche a smascherare diversi depistaggi ed in particolare «la tesi dell’allontanamento volontario e il prosciugamento dei conti correnti di Barbara per garantirsi la fuga, la manipolazione del pc di Barbara per accreditare intenti suicidari il giorno prima della scomparsa, le due cartoline spedite da Firenze il 5 ed il 6 novembre 2009 da Barbara ai figli e le vere ragioni della presenza di Roberto Lo Giudice a Reggio Calabria, appena 18 giorni dopo la scomparsa della moglie».

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Simone Saverio Puccio

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