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REGGIO CALABRIA – Le ferite degli anni di piombo sono ancora fresche e sanguinanti, la loggia P2 è venuta a galla l’anno prima, stravolgendo l’assetto di uno Stato che riesce a sentirsi unito solo grazie ai gol di “Pablito” Rossi. Il maxi-processo a cosa nostra è ancora solo un miraggio, in Sicilia emergono i Corleonesi di Totò Riina, in Calabra c’è l’apparente calma fra la prima e la seconda guerra di ‘ndrangheta. Il malaffare si dimostra all’avanguardia rispetto alla macchina statale: si stringono alleanze, joint venture fra gruppi criminali, ma anche patti indicibili fra uomini “d’onore” e pezzi di Stato deviati. Gli appalti pubblici solleticano gli appetiti del crimine organizzato.
Siamo a Reggio Calabria, anno 1982, è il 3 maggio; l’ingegnere Gennaro Musella ha in testa di fare della Calabria una nuova Costiera Amalfitana. Bagnara Calabra può diventare la nuova Positano, a Capo Rocchi si farà il porto: la gara d’appalto è stata indetta, lui vi partecipa con la propria impresa. Se la aggiudica però il Gruppo Costanzo, famigerati “Cavalieri del Lavoro” catanesi assieme ai Graci ed ai Renda, bersaglio delle inchieste de “I Siciliani” di Pippo Fava. Musella non ci sta, presenta un esposto in procura, denuncia illeciti nelle procedure: gara annullata. Quel lunedì 3, Musella esce di casa e raggiunge la propria auto, in Via Apollo, a Reggio. L’esecuzione della sentenza di morte è l’accensione del quadro elettrico: un boato scuote la città dello Stretto, l’auto è sventrata, lo scenario è raccapricciante. L’ingegnere non è solo eliminato, è cancellato: alcuni resti vengono trovati a decine di metri di distanza, è uno degli omicidi più brutali della storia della mafia.
Da un rapporto dei Carabinieri del Nucleo operativo di Reggio Calabria, emerge l’accordo fra i boss Paolo De Stefano e Nitto Santapaola per quell’appalto, la cui seconda gara finì in mano ai Graci: ‘ndrangheta e cosa nostra, ma anche funzionari, impiegati, politici locali e regionali. Gennaro Musella ha scoperchiato il Vaso di Pandora della “zona grigia”, prima ancora che in Italia si iniziasse a parlare di mafia dei colletti bianchi.
Le inchieste per il delitto Musella non portarono a nessun processo: archiviate nel 1988, vennero riaperte dalla Dda nel ‘93 per l’impegno della figlia Adriana, fondatrice del movimento antimafia “Riferimenti”. Musella viene riconosciuto vittima di mafia nel 2008. «Di lui rimase solo un tronco monco – scrive la figlia Adriana, nel ricordarlo – La barbarie non può essere archiviata e anche se le ferite si rimarginano, le cicatrici restano».
Lo hanno ricordato ieri anche il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra, che ha sottolineato come a Reggio la ‘ndrangheta dettasse legge «con la connivenza di ambienti politici importanti», ed il senatore Pietro Grasso, secondo cui Musella era «un uomo onesto e un professionista stimato», un «esempio per gli imprenditori come lui e per tutti i cittadini che credono e si battono per la trasparenza, la giustizia e la legalità».
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