Vincenzo Cordì e Susanna Brescia
4 minuti per la letturaMARINA DI GIOIOSA JONICA (REGGIO CALABRIA) – «Io e la mia famiglia ringraziamo pubblicamente tutte le forze dell’ordine, la magistratura e chiunque abbia contribuito a fare luce su questa crudeltà assurda». Rosamaria, sorella di Vincenzo Cordì, il cameriere di Marina di Gioiosa Jonica ferocemente arso vivo (LEGGI LA NOTIZIA), lascia al mondo dei social tutta la sua gratitudine ma anche il dolore, immenso, che lei e la sua famiglia vivono da tre mesi. La morte del 42 enne, cui cadavere carbonizzato è stato ritrovato il 13 novembre, rischiava di esser archiviata come un caso di suicidio. Così, almeno, la convivente dell’uomo voleva far credere a tutti.
Lunedì mattina, però, proprio la convivente di Vincenzo, Susanna Brescia 42 anni di Marina di Gioiosa Jonica è stata arrestata dai carabinieri con l’accusa di omicidio volontario. In concorso sono finiti in carcere anche Francesco Sfara, 22 anni, il figlio di lei nato dal primo matrimonio e Giuseppe Menniti, 40enne legato alla donna da una relazione sentimentale iniziata nel settembre 2019. Tre mesi di indagini meticolose, svolte con passione e in perfetta sinergia tra la Procura di Locri e i Carabinieri della compagnia di Roccella Jonica, hanno potato alla luce uno dei delitti più efferati mai avvenuto nella Locride.
Il 3 febbraio, giorno degli arresti, per la famiglia Cordì non è una data qualunque: è il giorno il compleanno del padre di Vincenzo. «Caro mio adorato papà – scrive con dolcezza e dolore Rosamaria – non hai lasciato niente al caso: giustizia, giustizia, giustizia per mio fratello e tuo figlio amato». Una giustizia che per i Cordì hanno atteso con grande compostezza. «Da quell’11 novembre – scrive Rosalba – ci siamo isolati nel nostro dolore. Lontani da qualsiasi riflettore mediatico, credendo fermamente all’operato degli inquirenti che oggi hanno reso giustizia ad un ragazzo di sani principi». Nel giorno di dolore e giustizia Rosamaria ringrazia «tutti coloro che ci sono vicini in questo drammatico momento».
Non era facile per gli inquirenti risolvere il caso di Vincenzo Cordì. Oltre l’esperienza dei carabinieri del gruppo di Locri, della procura, degli specialisti del Ris e Racis e dei medici legali – ancora stanno lavorando sui resti di Vincenzo –, determinanti sono stati anche tre elementi: un euro di benzina, un lampo e un accendino. Per un euro di benzina, infatti, Menniti e Sfara sono stati individuati. Un lampo ha, invece, illuminato in una frazione di secondo la strada proprio mentre l’11 novembre alle ore 22.21 transitava, a luci spente, la Fiat Punto con a bordo i due uomini. E, sull’accendino del tipo antivento usato per appiccare il fuoco che ha bruciato l’autovettura e la vita del povero Vincenzo, sono state ritrovate le impronte di Susanna.
Il movente dell’omicidio di Cordì non è ancora noto «va da ricercare in ambito familiare», dicono gli investigatori, ma Susanna Brescia già nell’aprile del 2016 aveva tentato di «avvelenare» il suo compagno. Vincenzo in quell’occasione si era sentito male ed era finito in ospedale: avvelenamento da benzotamine è il referto medico. La procura di Locri aprì un fascicolo contro ignoti ma ben presto tutto venne archiviato. La convivenza tra i due proseguì, tra alti e bassi. Vincenzo si fidava di quella donna dal viso d’angelo che quattro anni fa l’aveva fatto diventare padre di due gemelli. Il 12 novembre scorso, però, la donna si presenta dai carabinieri e denuncia la scomparsa di Vincenzo Cordì. A ritrovarlo, il giorno successivo sono i carabinieri. La Fiat 16 era completamente distrutta da un incendio. Dentro c’era un corpo di Vincenzo ed era carbonizzato.
La posizione in cui è stato ritrovato il cadavere desta i primi dubbi nei carabinieri del capitano Carmelo Beringheli, nel magistrato titolare dell’indagine Marzia Currao e nel medico legale, dottor Pietro Tarzia: «era riverso in posizione supina a bordo dell’autovettura, a pancia in giù, con il cranio tra la leva del cambio e il freno a mano. I sedili – precisa il capitano – della macchina erano entrambi abbassati. Il braccio sinistro rivolto verso l’alto». Poco distante dalla carcassa dell’autovettura i militari ritrovano il «Huawei nero» della vittima che odorava di benzina e l’accendino del tipo antivento. Susanna però ai militari racconta del periodo di depressione che il compagno attraversava. Racconta dalla volontà di Vincenzo di farla finita e mostra dei messaggi di whatsapp scambiati con l’uomo «faceva riferimento a intenti del generi». Per i famigliari e amici invece Vincenzo non era depresso e anzi il suo migliore amico racconta come «l’11 novembre Vincenzo voleva organizzare una “zeppolata” tra amici».
Le telecamere e un lampo poi portano alla luce l’efferato omicidio. L’11 novembre alle ore 22.35 le telecamere di un distributore di benzina sito in Marina di Gioiosa Jonica riprendono un uomo di bassa statura, con pantaloni grigi, scarpe chiare, bomber di colore scuro con cappuccio, che si avvicina alla colonnina con in mano una tanica di colore rossa. Mette dieci euro, la benzina nella tanica e si allontana. Subito dopo al distributore arriva una Fiat Punto della Brescia con a bordo due uomini, quello lato passeggero scende, è vestito uguale all’uomo basso che poco prima aveva riempito la tanica, ma questa volta era senza il cappuccio e così «si notava – annotano i carabinieri – la calvizie». Per gli investigatori quell’uomo calvo è Menniti, alla guida dell’auto c’era Francesco Sfara, il 22 enne che era in buoni rapporti con l’amante della madre ma in cattivi rapporti con il papà dei suoi fratellini.
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