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REGGIO CALABRIA – I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di una persona accusata di un omicidio commesso nel 1988 durante la guerra di ‘ndrangheta che insanguinò Reggio.
Sono state le nuove tecniche di esame sul Dna, sconosciute all’epoca del fatto, a portare all’arresto del secondo componente del commando che il 22 aprile 1988 uccise il 21enne Giuseppe Cartisano, nell’ambito di quella che è stata chiamata la seconda guerra di ‘ndrangheta che tra il 1985 ed il 1991 provocò oltre 700 morti a Reggio Calabria.
Si tratta di Vincenzino Zappia, di 52 anni, già detenuto per altra causa. L’uomo è accusato di omicidio premeditato ed aggravato da motivi abietti. Cartisano fu ucciso da due persone nel bar gelateria Malavenda, nella centralissima piazza De Nava. I sicari spararono numerosi colpi di arma da fuoco. Durante la fuga, intercettati ed inseguiti da una pattuglia dei carabinieri, spararono anche contro i militari che risposero al fuoco uccidendo uno dei sicari, Luciano Pellicanò, di 22 anni. L’altro, benché gravemente ferito, riuscì a dileguarsi approfittando dell’aiuto di complici rimasti ignoti.
Sulla via di fuga dei banditi, i carabinieri repertarono numerose tracce di sangue perso dal fuggitivo. Gli accertamenti tecnici condotti all’epoca non consentirono, tuttavia, per le conoscenze tecniche di allora, di individuare l’uomo. L’indagine che ha portato all’arresto di Zappia, condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio Calabria e coordinata dal procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e dal pm Walter Ignazitto, è stata avviata nel settembre del 2019, è ripresa nel 2019, quando la Dda, nel riesaminare le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che avevano fornito indicazioni sul delitto, ha disposto nuovi accertamenti sui reperti rimasti custoditi per più di 30 anni negli archivi giudiziari.
Grazie alle moderne tecniche di laboratorio, i carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche di Messina hanno estrapolato il Dna nucleare che comparato con quello di Zappia ha riscontrata la perfetta sovrapponibilità tra i due profili genetici. Un dato che, secondo gli inquirenti, è andato a confermare il quadro delle dichiarazioni dei numerosi collaboratori. L’indagine ha anche ulteriormente certificato l’appartenenza di Zappia alla potente cosca dei De Stefano-Tegano, per conto della quale, secondo l’accusa, aveva portato a compimento anche l’omicidio di Cartisano.
L’arrestato, secondo gli investigatori, era uno tra i più spietati elementi dei gruppi di fuoco che la cosca, durante la seconda guerra di ‘ndrangheta, aveva approntato per far fronte alle offensive delle cosche avversarie per il predominio su Reggio Calabria. Arrestato nel 2014 nell’inchiesta “Il Padrino”, Zappia è stato condannato a 17 anni di reclusione per associazione mafiosa e già in precedenza era stato condannato a 6 anni per lo stesso reato nell’operazione Olimpia. Più recentemente, nel 2017, è stato condannato a 13 anni di reclusione nell’indagine “Il Principe”, sempre per associazione mafiosa.
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