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Tensioni tra georgiani e un africano al carcere di Arghillà a Reggio Calabria; dopo la rivolta dei detenuti, i rinforzi


REGGIO CALABRIA – Un’aggressione ai danni di un detenuto africano sedata nel giro di qualche ora e solo grazie all’intervento di rinforzi esterni. Disordini e tensioni all’interno di uno dei due istituti penitenziari reggini, al carcere di Arghillà per l’esattezza, che forniscono però una utilissima cartina di tornasole che parla delle tante carenze (soprattutto di personale) del sistema penitenziario in riva allo Stretto.
Ma veniamo ai fatti. È mattina ed al carcere di Arghillà i malumori di un gruppo di detenuti di origine georgiana nei confronti di un altro detenuto, sempre straniero, di origini africane, salgono di tono e volano parole pesantissime.

Il gruppo di georgiani rifiuta gli ordini delle guardie carcerarie di rientrare in cella. Nella contrapposizione e nella tensione che sale, nonostante la lingua straniera parlata dai detenuti, gli agenti intuiscono e fiutano il pericolo imminente.
Il gruppo ha l’intenzione di passare dalle parole ai fatti. L’obiettivo è quello di aggredire il detenuto africano allocato in altra sezione detentiva con cui nei giorni passati ci sarebbe stato un aspro diverbio, come riporta anche “radio carcere”.
Gli agenti della penitenziaria sono costretti a chiamare rinforzi. E qui scatta l’emergenza nell’emergenza che deve fare riflettere: sono stati richiamati appartenenti al corpo di polizia penitenziaria liberi dal servizio, mentre ulteriori rinforzi sono dovuti giungere da altri istituti penitenziari della regione.
I disordini si sono sopiti quindi solo grazie all’intervento che, necessariamente, è dovuto giungere da fuori città.

Un episodio che non può lasciare indifferenti e che fa commentare soprattutto Luca Muglia, Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale: «Anche a Castrovillari e Catanzaro abbiamo patito la stessa sofferenza e pressione ma nel caso reggino è sintomatico il fatto che sia dovuta intervenire la polizia penitenziaria proveniente da altri istituti. Esiste un problema di organico serissimo per il plesso di Arghillà – ha aggiunto Muglia -. L’organico ridotto crea un problema di sicurezza sia chiaro per tutti. Aggiungo che tra gli aspetti assolutamente non trascurabili ci sia anche l’assenza nel plesso di Arghillà sia della Caserma che della foresteria per gli agenti di polizia penitenziaria. Un luogo dove montare e smontare ed avere pronti poliziotti da predisporre in servizio. Arghillà, pur essendo un avamposto caldissimo, ne è totalmente priva. E’ chiaro che così qualunque situazione può diventare incontrollabile ed incontenibile».
La vicenda è stata commentata anche da Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria: «Quanto sta accadendo è palesemente l’effetto dello stato di abbandono sostanziale in cui continuano a versare le carceri e i detenuti e a pagarne le spese, oltre a questi ultimi, è il Corpo di polizia penitenziaria che sconta le pene dell’inferno per la sola colpa di essere al servizio dello Stato. Ormai si va al lavoro e non si sa quando e come se ne uscirà. Turni di 16, 18 e anche 24 ore, aggressioni, sono state oltre 2.000 dall’inizio dell’anno, rivolte, disordini e, quando va bene, un procedimento penale e uno disciplinare».

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