La pietra di cui parla Bruno Bonfà. Si vedono il testo di tre righe e i danneggiamenti subiti
6 minuti per la letturaBruno Bonfà, uno studioso di Samo (Reggio Calabria), porta all’attenzione della Soprintendenza una pietra tombale con alcune iscrizioni che potrebbero essere di grande interesse storico ed archeologico
“QUELLE lettere mi dicevano qualcosa, da un po’ di tempo mi ero messo a studiare lingue semitiche: ebraico, siriano, arabo e anche cinese antico. Quello che avevo davanti, su un libro, era un testo in antico ebraico. Come potevo averlo già visto?”. Improvvisamente, qualche mese fa, una lampadina si accende nella testa di Bruno Bonfà che corre fuori (da tempo non usciva quasi più di casa) e si arrampica su fino al piccolo santuario di Precacore dedicato a San Giovanni Battista nel territorio del comune di Samo poco lontano dall’omonima chiesa greco-bizantina.
Circa cinquant’anni fa, Bruno, che era allora un ragazzino, aveva dato una mano insieme ad altri suoi coetanei, alla raccolta dei materiali per costruire quella che era poco più di un’edicola votiva: «Ricordavo bene quella grande pietra che avevamo trovato tra le rovine del terremoto che colpì la Calabria nel 1908. Ci era sembrata bellissima, con quelle strane e misteriose lettere… Il signor Giovanni Battista Bonfà (da quelle parti siamo in molti con questo cognome) veniva tutte le estati a Precacore per continuare il suo progetto dedicato al culto del santo di cui portava il nome. Quella bella pietra aveva voluto metterla in evidenza nella cappella».
Bruno Bonfà rivede la pietra (per farlo deve spostare le scope che qualcuno aveva appoggiato contro il muro), guarda le scritte e resta di sale. Adesso che conosce l’alfabeto ebraico, quei segni gli dicono qualcosa. Sembrano solo simili (corsivi, non quadrati) ma un’attinenza ci deve essere. Soprattutto, se fossero davvero in ebraico così antico, sposterebbero di diversi secoli le prime presenze semitiche in quelle terre greco bizantine, portandole addirittura a quattro o otto secoli prima di Cristo. Il cuore di Bruno batte all’impazzata. Bisogna salvaguardare la pietra che appare danneggiata e trascurata ed evitare di comunicare cose sbagliate e, soprattutto, bisogna far sapere alla Sovraintendenza archeologica della Calabria che su a Precacore potrebbe esserci una pietra importante.
Su consiglio dell’amico Daniele Castrizio (professore di Numismatica a Messina e esperto dei Bronzi di Riace), Bonfà invia la debita denuncia all’istituzione e ai carabinieri del nucleo per la tutela dei Beni culturali. Poi, con Castrizio, il prof. Emilio Vergani (docente di Siriaco all’Istituto Pontificio Orientale di Roma) e la prof. Emanuela Anzelini, comincia lo studio della scritta che appare divisa in tre righe. La prima (si legge da destra) sembra portare a un termine (“Qibrot”) che si avvicina a “Qeber” e che potrebbe significare “tomba”. Insomma, sembrerebbe trattarsi di un’iscrizione funebre che indicherebbe come quella pietra facesse parte della tomba di qualcuno. Qualcuno (ebreo) che potrebbe aver vissuto in quelle terre molto prima del tempo normalmente “riconosciuto”.
Bruno Bonfà conosce bene la storia della sua terra che è sempre stata legata al mondo dell’antica Grecia. Ma anche una terra dove il detto “l’ospite è sacro” veniva praticato molto sul serio. «Gli ebrei, grandi esperti di persecuzioni e diaspore, lo sapevano bene, come lo avevano sperimentato in positivo i protocristiani costretti a fuggire da Roma. San Florio, ad esempio, nel I/II secolo dopo Cristo, dovendo lasciare Roma dove rischiava ogni giorno la vita, preferì rifugiarsi in Calabria dove i greci lo accolsero e lo rispettarono. In Sicilia, invece, Sant’Agata e Santa Lucia, finirono martirizzate». Insomma, quella pietra tombale, potrebbe raccontarci una storia e anche cambiare un po’ quella (con la “S” maiuscola) finora definita. A Bova Marina c’è la seconda sinagoga più antica d’Europa (risale a IV secolo dopo Cristo) e a Gerace, sui muri di alcune case, ci sono simboli che riportano alla Torah. Ma la pietra di Precacore ci porterebbe a tempi molto più lontani della storia della Calabria: prima di Cristo e si potrebbe parlare (sempre dopo aver fatto tutte le verifiche sulle lettere incise) di un’epoca “protosemitica”: addirittura otto secoli prima di Cristo. Bonfà e la squadra di specialisti che si stanno occupando della scritta, sperano di poter dare presto delle certezze.
Ma dietro alla pietra, si accumulano anche altre storie di Calabria. Una ci parla del terremoto del 1908 che buttò giù molte case di Precacore. Molte ma non tutte e la gente tendeva a restare nelle proprie vecchie abitazioni e a frequentare le tre chiese pericolanti del paesino. Furono i soldati piemontesi (come accadde anche altrove) a buttare giù quello che si era salvato dal terremoto per costringere i cittadini all’evacuazione. Di chissà quale casa o quale chiesa faceva parte la strana pietra che i ragazzi di Precacore rinvennero chissà dove per usarla nella cappella dedicata a San Giovanni Battista. E Bonfà ci racconta anche la vicenda di suo padre Stefano, ucciso dalla ’ndrangheta nel 1991 forse per aver visto cose che non si dovevano vedere a proposito del coinvolgimento di persone insospettabili nei rapimenti che, in quegli anni, in Calabria, erano all’ordine del giorno. E Bruno ha sempre avuto problemi con questo “lato oscuro” della Calabria. E, spesso, a farne le spese è stata la sua azienda agricola per la produzione del bergamotto di alta qualità (lo chiamano “Il re del bergamotto”), danneggiata dalle famose “vacche sacre” della ’ndrangheta che appaiono e scompaiono sul territorio provocando danni, ma che è meglio lasciare stare…
Sulla veridicità di quello che Bonfà ci ha raccontato, garantisce (fino alle prove che andranno ancora fatte sulla pietra), il professor Daniele Castrizio. Ecco cosa ci ha detto a proposito della lapide di Precacore: «La storia dell’Aspromonte continua a sorprendere. In contrasto con il luogo comune di una Calabria meridionale chiusa e arroccata, l’archeologia ci fornisce prove di contatti con genti venute dall’Oriente, che hanno vissuto e si sono integrate con le persone del luogo lungo i vari millenni. Oggi le nostre certezze scientifiche vengono scosse da un rinvenimento di eccezionale importanza, anche se ancora tutto da studiare e da approfondire. Si tratta di una epigrafe in caratteri che sembrano ebraici, probabilmente di origine sepolcrale, spostata molti anni fa dal luogo di rinvenimento, per essere utilizzata come semplice pietra in un muro a Precacore. La sensibilità del muratore che ha edificato il muro ha posto la pietra con l’epigrafe a vista, pure non comprendendo di cosa si trattasse. La scoperta testimonia una volta di più la presenza giudaica nella Calabria meridionale in epoca antica, anche se si attende una perizia per accertare l’epoca esatta della realizzazione del manufatto. Per il momento, possiamo solo esprimere la nostra contentezza per un ulteriore tassello del mosaico della nostra storia, che attende di essere ricollocato al suo posto, per poter comprendere e ammirare il quadro generale”. Insomma, qualcosa di molto importante potrebbe esserci davvero dietro a quella lastra tombale.
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