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Paolo Rodà

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Paolino aveva gli occhi verdi e la pelle chiara come sua madre, morta quando lui aveva appena tre anni. Da quel momento in poi, tutte le donne di casa Rodà gli si strinsero attorno per cercare di colmare quel vuoto.

Le zie Ernesta e Domenica ma soprattutto la nonna Caterina, cercarono di dargli tutto l’affetto di cui erano capaci e lui le ricambiava senza mai chiedere niente di più rispetto a quanto gli veniva offerto spontaneamente.

Era un bambino solare Paolino, capace di conquistare tutti, di suscitare una simpatia immediata e di non passare inosservato per quel sorriso tenero, a tratti malinconico, che sfoderava soprattutto quando doveva vincere la propria timidezza.

La sua vita si concluse tragicamente nel primo pomeriggio del 2 novembre del 2004.

Paolo, che all’epoca aveva tredici anni, insieme al fratello maggiore di 17 anni, e al padre Pasquale, da Bruzzano Zeffirio dove vivevano, si recarono a Ferruzzano dove la famiglia aveva un podere, degli animali e persino le api.

Sul fuoristrada il bambino era seduto sul sedile posteriore.

Una volta arrivati a destinazione, Pasquale non fece neppure in tempo a spegnere il motore dell’auto perché una raffica di colpi di lupara investì lui e i suoi figli alle spalle.

Paolino non ebbe scampo, morì sul colpo, e anche suo padre Pasquale sarà ucciso da lì a poco.

Quando nel primo pomeriggio la notizia iniziò a circolare in paese, tutti si riversarono davanti all’abitazione dei Rodà.

La morte di Paolino destò grande commozione.

“Era solo un bambino”

“Era solo un bambino”, ripetevano affrante le persone mentre cercavano di condividere il dolore dei familiari.

Un bambino ricco di passioni e di sogni che comunicava alle zie quando si ritrovavano tutti insieme. Paolino, tra le varie ipotesi di futuro inseriva la possibilità di diventare veterinario o medico, così confidava a Domenica.

Mentre con Ernesta, che all’epoca non era ancora sposata, ipotizzava, come era naturale alla sua età, ancora altre strade da intraprendere per realizzare tutti i suoi progetti.

“Questi due bambini li abbiamo cresciuti noi – spiega Ernesta -. Mia sorella, in particolare, li accompagnava e andava a prenderli ogni giorno a scuola.

Per me perdere mio nipote Paolo ha rappresentato il dolore più grande della mia vita. Il giorno in cui avvenne la disgrazia io ero a Catania con mio marito.

Mentre eravamo sul traghetto qualcuno lo chiamò per informarlo di quanto era accaduto. Io compresi dall’espressione del suo volto che c’era qualcosa che non andava ma non volle dirmi niente.

Cominciai a chiamare tutti i miei familiari ma nessuno di loro mi rispondeva al telefono e quel silenzio non fece altro che accrescere la mia ansia.

“Una volta arrivata a casa scoprii la tragica verità”.

Ernesta conserva ancora le magliette di Paolo e i suoi giochi. E ciò che gli rimane di lui, ma di tanto in tanto ha bisogno di guardarli per ricordare i tempi felici che non sono mancati nella pur breve esistenza di suo nipote.

“Non era bravissimo a scuola – continua Ernesta – diciamo che si attestava sulla sufficienza ma era molto amato dai suoi compagni di classe. Era un bambino molto dolce. Nel giorno della festa della mamma prendeva i cornetti per tutti, era questo il suo modo per ricordare la sua che non c’era più. Tante volte gli davo un passaggio fino in piazza e poi gli allungavo sempre due euro ma lui non li voleva mai. Dovevo insistere per farglieli prendere. Ancora oggi quando guardo una moneta da due euro mi viene in mente mio nipote e tante volte li porgo a qualcuno in sua memoria. Io ho avuto un negozio di abbigliamento e ordinavo sempre i pantaloni e le magliette della sua taglia per regalarglieli. In quei frangenti lo vedevo veramente felice. Non ha mai avuto pretese, si accontentava sempre di ciò che gli veniva dato ed era grato a tutti per qualunque cosa”.

Paolino chiamava mamma una zia e nonostante crescendo scoprii che la sua vera madre non era lei, continuò a farlo con grande trasporto. Furono molte le figure femminili di riferimento nella sua vita e con ognuna di loro riuscì a creare un legame forte sul piano dei sentimenti.

Tutte le donne di casa, d’altronde, si impegnarono tanto per non fargli sentire qualche mancanza sul piano affettivo ma ciò che provava veramente, non lo ha mai espresso, né é mai stato sollecitato a farlo per non creargli il benché minimo turbamento.

Paolo con suo Padre

“Paolo era rimasto a vivere nella casa dei miei genitori – spiega Ernesta – e mia sorella e mia cognata quanto me e mia madre, si occupavano di lui e del fratello. A mio nipote piaceva giocare a calcetto e amava la musica, infatti, andava anche a scuola di organetto. Mio fratello gli comprò subito lo strumento e lui era molto soddisfatto e orgoglioso. Mi viene in mente che quando mi sposai e partii in viaggio di nozze, non volle sentirmi per tutti i quindici giorni che rimasi fuori. Quando telefonavo a casa, le pochissime volte che riuscii a farmelo passare, piangeva a dirotto. Era questo il suo modo di comunicarmi l’affetto che aveva per me”.

Fu un trauma per Paolino vedere andare via zia Ernesta. Avrebbe voluto averla sempre accanto e condividere con lei, ogni giorno, anche una delle passioni della sua vita: mangiare tanto e bene.

“Io lo prendevo in giro – ricorda Ernesta -e gli facevo sempre notare che aveva fatto la pancetta. Lui mi rispondeva che presto si sarebbe messo a dieta ma era qualcosa più forte di lui, non riusciva a rinunciare ai piaceri della tavola. Gli piaceva molto anche cucinare. Spesso prendeva le padelle e si metteva ai fornelli. Da grande puoi fare il cuoco gli dicevo, e lui mi rispondeva che non sapeva ancora bene cosa avrebbe fatto. Era anche un ragazzino timido, riservato e sensibile Paolino, se qualcuno lo rimproverava immediatamente gli spuntavano le lacrime. Mia sorella gli aveva regalato una collanina e lui la portava sempre al collo. Gli piaceva molto”.

Ernesta conserva tanti ricordi di suo nipote, immagini fugaci, che lo dipingono più di qualunque altra cosa: lo rivede seduto a tavola mentre mangia con grande appetito e soddisfazione o quando di gran corsa arrivava a casa sudato dopo il calcetto e faceva velocemente la doccia per poter uscire di nuovo. Lei, qualche volta, lo accompagnava fino in piazza e lui correva a sedersi a terra vicino ai suoi amici.

“Da piccolo – continua la zia – giocava spesso con i cuginetti. Gli bastava raccogliere i i tappi della bottiglie ed era contento. Spesse volte anch’io partecipavo ai suoi giochi. Lui amava molto andare in bicicletta e progettava, un giorno, di poter avere anche il motorino. Come tutti i bambini della sua età fantasticava e sognava di fare tante cose”.

Il giorno dei funerali di Paolino Rodà la chiesa era gremita di persone. In tanti lo amavano sinceramente. I suoi compagni di classe gli scrissero una lettera nel quale gli manifestarono tutto l’affetto che sentivano per lui e ogni qualvolta incontravano le sue zie, come sottolinea Ernesta, “l’amore gli usciva dagli occhi” quando ricordavano suo nipote.

Un suo compagno di giochi, che condivideva con Paolo il suo monopattino, dopo la sua morte non volle più prenderlo. Ernesta conserva ancora il materassino gonfiabile che gli regalò per andare al mare a Brancaleone insieme a una sua cugina che ogni estate tornava dalla Francia e racconta la sua apprensione perché temeva che il nipote potesse andare troppo al largo. Ma Paolino la rassicurava sempre promettendole che non avrebbe commesso imprudenze. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un giorno avrebbe perso la vita in un modo tanto tragico.

“È stato breve il tempo da vivere con mio nipote – conclude Ernesta – ma il ricordo che mi rimane di lui è di un bambino sereno, pacato, mai fuori le righe, che ci amava molto e apprezzava tutto l’affetto che gli dimostravamo. Non è facile descrivere a parole tutto l’amore che sento per Paolo, un bambino che aveva tanti progetti e desideri e che è andato via così all’improvviso. Noi continueremo a portarlo nel nostro cuore e a ricordarlo sereno e felice come è sempre stato”.

C’è una mamma, tra tante, che è anche un’insegnante e durante l’anno scolastico di dieci anni fa, dopo aver svolto con i suoi studenti un lavoro preparatorio sul valore della memoria, ha voluto ricordare Paolino Rodà e intestargli l’aula della sua classe, la quinta A del plesso scolastico De Amicis di Locri. È Liliana Carbone, la madre di Massimiliano, il ragazzo di Locri morto il 24 settembre del 2004 dopo essere stato raggiunto, sette giorni prima, da un colpo di lupara nel giardino condominiale della sua casa. Era appena tornato con suo fratello Davide da una partita di calcetto.

Liliana, per ricordare Paolino, prese spunto da un testo del poeta locrese Vincenzo Carrozza, “Fiori recisi”, ed estrapolò dei versi che racchiudono la sua fanciullezza e il suo martirio: “E nessuna scuola mi ricorda, nessuna strada porta il mio nome. Ricordano i cardi blu, il luogo dove si perse il mio sangue, pietre laviche scheggiate ho come lapide. È rimasta impigliata tra i rovi del sentiero, passando la vedrete, la mia allegria di bambino spensierato”.


Il duplice omicidio a Ferruzzano

Riaprì la faida di Motticella che lasciò sul campo numerose vittime

Paolo Rodà, 13 anni, fu ucciso insieme al padre Pasquale il 2 novembre del 2004 a Ferruzzano, in un podere di loro proprietà. La famiglia Rodà abitava a Bruzzano Zeffirio e nel primo pomeriggio si era recata a bordo di un fuoristrada in campagna per dar da mangiare agli animali e controllare le api. Insieme a Pasquale e Paolo c’era anche l’altro figlio di appena 17 anni. Erano appena arrivati e avevano spento il motore della macchina quando alle loro spalle cominciarono a partire i colpi di lupara. Paolo, che era seduto sul sedile posteriore, fu colpito immediatamente e morì. Pasquale e il figlio maggiore scesero dalla macchina e cercarono di fuggire. Il ragazzo rimase ferito, mentre Pasquale fu raggiunto e ucciso. Il duplice omicidio riaprì la faida di Motticella che lasciò sul campo numerose vittime.

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