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Roberto Lucisano, magistrato in pensione e presidente della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria fino all’anno scorso

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REGGIO CALABRIA – La storia del macellaio di Oliveto, arrestato per omicidio volontario e tentato omicidio volontario di due ladri catanesi sorpresi a rubare in casa sua (LEGGI LA NOTIZIA), ha suscitato un moto di indignazione popolare che ha travalicato i confini cittadini e per chiarire gli aspetti tecnico-giuridici del caso e del concetto di legittima difesa abbiamo sentito un operatore del diritto del calibro di Roberto Lucisano, magistrato in pensione e presidente della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria fino all’anno scorso.

«L’istituto della legittima difesa ha dei paletti ben determinati, stabiliti peraltro dal codice penale del 1930, cioè in piena epoca fascista, quindi certamente senza nessuna simpatia per chi attentava alla proprietà o alla vita umana. E però la legittima difesa è caratterizzata dal fatto di compiere un’azione quando c’è il pericolo attuale di subire un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Negli ultimi anni ci sono stati anche interventi legislativi che hanno rafforzato questo tipo di tutela nei casi in cui tali episodi avvengano all’interno del domicilio o nelle pertinenze».

Lucisano, si riferisce alla legge 59/2006 che ha aggiunto due commi all’articolo 52 c.p. e introduce un’ipotesi di legittima difesa che può definirsi “speciale”?.

«Esattamente. Temo che si sia data alla gente l’idea che sostanzialmente davanti ad episodi delittuosi in ambito domestico si possa rispondere in qualsiasi modo e farsi giustizia da sé a prescindere dal criterio di proporzionalità. E ma così non è. La Cassazione si è espressa già più volte e rimangono fermi quei paletti: l’attualità del pericolo, l’ingiustizia dell’offesa e la proporzionalità della risposta».

Pur non entrando nel merito del caso di Rosario Valanidi, Lucisano ci faccia un esempio di legittima difesa.

«Colgo una persona che ruba dentro la mia abitazione, senz’armi o altro, io non gli posso sparare pensando che questo sia lecito. Ci deve essere da parte sua un comportamento violento in modo che io debba salvare i miei familiari o me stesso da questo attacco e dimostrare che questo si sia effettivamente realizzato. Poi diventa un fatto di prove e di ricostruzioni dell’accaduto».

Infatti gli avvocati di Francesco Putortì, che naturalmente fanno gli avvocati, parlano di difesa proporzionata al tipo di furto e di aggressione subita. E’ per questo che non si capacitano della decisione del gip.

«Giustamente gli avvocati fanno quello che devono fare. Si tratta di ricostruire le modalità dell’aggressione, se lo hanno minacciato, se c’è stata colluttazione, quanti colpi e dove sono stati inferti, se sono stati colpiti mentre scappavano. Per esempio, in questo caso, non si può pensare alla legittima difesa ma sarebbe un atto di ritorsione».

Addirittura qualche giornale nazionale sul caso di Reggio titolava “Malagiustizia – Se il ladro diventa una vittima” citando Calamandrei che disse “quando un ladro ci entra in casa, la giustizia esce dalla finestra”. Che ne pensa? Esagerato?

«Ma assolutamente sì. La giustizia risponde a norme che hanno dei criteri di prevalenza, non c’è mai proporzione tra il sacrificio di una vita umana e la lesione di un bene privato. Ripeto, queste norme sono state previste da un codice redatto dal ministro Rocco in piena epoca fascista. Il codice penale che ancora vige in Italia, come spesso ricorda il ministro Nordio, è quello fascista. Purtroppo in Italia tutto diventa motivo di polemica o strumentalizzazione a fini politici, anche la giustizia. Ma ci sono beni primari e beni secondari che non possono mettersi sullo stesso piatto della bilancia. Per dire, se c’è una persona in casa che sta rubando, lo posso minacciare, se ho un’arma in casa, e probabilmente se non è armato se ne scapperà via, ma non posso colpirlo pensando che ci sia una sorta di impunità. Non lo prevede né la legge né la giurisprudenza della Cassazione. Purtroppo qualunque cosa in Italia viene interpretata come malagiustizia. Ma un episodio del genere avrebbe potuto verificarsi 80 anni fa, la giustizia avrebbe avuto lo stesso tipo di reazione. Altrimenti sarebbe il far west, in cui ognuno si può fare giustizia da solo. E invece è possibile difendersi ma entro certi limiti per salvare la propria vita e i propri diritti. Purtroppo ho sentito anche di esponenti politici andati in carcere a mostrare solidarietà a chi aveva sparato ai rapinatori alle spalle uccidendoli. È chiaro che nessuno può pensare a un’impunità in questi casi: si creerebbe una situazione intollerabile per una società civile e democratica. Ci sono dei principi sacrosanti che vanno rispettati sempre».

E infatti sul caso, in ambito politico, si registrano prese di posizione a sostegno del proprietario di casa dall’estrema destra alla sinistra e all’estrema sinistra. Tutti additando questo modo di amministrare la giustizia come lontana dai cittadini onesti.

«Ma le ripeto: la norma del codice fascista è stata modificata nel senso di tutelare ancora di più chi si difende, ma nessuna norma può prevedere che ci si possa far giustizia da sé. Il bene primario è quello della vita. A meno di non volere una sorta di democrazia autoritaria».

Ma il punto per chi contesta la decisione del giudice in questo caso è l’interpretazione della norma, non la norma in sé. Si ritiene, Lucisano, che la difesa in questo caso rientri perfettamente nelle disposizioni di legge e sia pertanto legittima.

«Ecco, questo andrà poi verificato. I processi si fanno per questo. Andrà valutata una serie di accertamenti da fare. Il momento decisivo è il dibattimento, in cui si confronteranno le varie tesi. Certamente se si appura che la violenza è stata giustificata dall’aggressione che mette in pericolo la vita del soggetto, dei suoi familiari, ci sarebbe la legittima difesa. Se invece le persone stavano scappando lo scenario è completamente diverso. Chiaro, sono momenti concitati, situazioni particolari».

Che ne pensa dell’accusa che il gip ragiona da pm? Può essere un cortocircuito della giustizia? Così non si rischia di dare ragione a chi invoca la separazione delle carriere?

«Ormai in Italia c’è questa specie di passaparola, è diventato un luogo comune per cui il gip asseconda sempre e comunque il pm, ma è smentito dalle statistiche. E poi se un gip ci mette un po’ di tempo in più per decidere su situazioni complesse si dice che c’è stato troppo tempo e si invoca rapidità e immediatezza nelle decisioni, poi quando si decide subito si dice che si accolgono in toto le tesi del gip. Insomma la giustizia è diventata materia di polemica. Da molti decenni è così. Però nella fase iniziale del procedimento è chiaro che si forma un convincimento sulla base della ricostruzione di chi interviene sul posto, su chi raccoglie i primi dati e poi si ascolta anche la versione dell’indagato. Poi le cose si chiariranno durante le fasi successive. Parlare per slogan e dire che la decisione del gip ha accolto acriticamente le tesi del pm è un modo acritico di esaminare le cose. Il gip si confronta sugli elementi che gli vengono sottoposti alla valutazione. Ma sono fasi iniziali del procedimento che poi avrà il suo sviluppo».

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