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La vittima Vincenzo Cordì e Susanna Brescia

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Confermati in appello l’ergastolo per Susanna Brescia e Giuseppe Menniti, e i ventitré anni di carcere per Francesco Sfara, figlio maggiore della donna, per l’omicidio di Vincenzo Cordì.


REGGIO CALABRIA- La Corte d’Appello di Reggio Calabria, nel primo pomeriggio di oggi, 12 luglio 2024, ha confermato la fine pena mai per la 46enne Susanna Brescia e il suo amante Giuseppe Menniti, 44enne. Confermati anche i ventitré anni di reclusione per il figlio maggiore della donna nato dal primo matrimonio, Francesco Sfara di 26 anni.
«È stata fatta giustizia e continuiamo a sperare fino alla fine che la giustizia arrivi definitiva». Ha dichiarato, Rosamaria Cordì, sorella della vittima. A fianco di Rosamaria, c’è come sempre sua madre che indossa la maglietta nera con sù stampato il viso di Vincenzo.

«Un altro passo avanti verso la giustizia», ha commentato Rocco Guttà, avvocato dei familiari di Cordì. Una giustizia che per i Cordì per il cruento omicidio hanno atteso con grande compostezza mantenuta anche alla lettura del dispositivo che ha sentenziato l’ergastolo per la Brescia, Menniti e Sfara.
Il 28 giugno 2022, anche la Corte d’Assise di Locri lo aveva sentenziato: stati Susanna, l’amante Giuseppe e il figlio Francesco a tramortire e bruciare quando ancora era vivo Vincenzo Cordì, il cameriere di Marina di Gioiosa trovato carbonizzato il 13 novembre del 2019, all’interno della sua Fiat 16 sui monti di San Giovanni di Gerace, nel reggino. Vincenzo Cordì e Susanna Brescia convivevano e dalla loro relazione erano nati due bambini gemellini.

IL TENTATO AVVELENAMENTO TRE ANNI PRIMA DELL’OMICIDIO

Vincenzo i suoi gemellini li amava più di sé stesso, al punto da morire. La convivente Susanna già nel settembre 2019 aveva intrapreso una relazione sentimentale con Giuseppe Menniti. La donna all’epoca dell’omicidio aveva 42 anni e covava odio e gelosia per quel suo compagno che le aveva confidato di non fidarsi più di lei. Vincenzo, infatti, conosciuto da tutti per la sua bontà d’animo, aveva intenzione di interrompere la relazione e portare con sé i gemelli. Aveva infatti capito che era stata proprio la sua Susanna a tentare di avvelenarlo con la somministrazione di barbiturici nell’aprile del 2016 e pare avesse scoperto anche che la donna lo tradiva.

Nell’aprile del 2016, infatti, Vincenzo dopo aver fatto colazione prima colazione con la moglie e poi al bar, si era sentito male ed era finito in ospedale: avvelenamento da benzotamine fu il referto medico. La procura di Locri aprì un fascicolo contro ignoti ma ben presto tutto venne archiviato. La convivenza tra i due proseguì. Ma, Vincenzo non si fidava della compagna.

«Tu hai più di uno» di amanti, e «ho sopportato fino a ora solo per i piccoli», aveva scritto su whatsapp Vincenzo a Susanna qualche tempo prima dell’omicidio. Sarebbe questo, secondo l’accusa, il movente dell’orribile delitto. E la tesi dell’accusa sostenuta dal sostituto procuratore, Marzia Currao della Procura di Locri che ha diretto le indagini svolte dai carabinieri, è stata sposata in pieno in primo grado e confermata nel secondo grado di giustizia. I condannati adesso dovranno liquidare anche le spese legali delle parti civili Teresa e Rosamaria, madre e sorella del povero Vincenzo Cordì. Le due donne di Vincenzo, sostenute dall’avvocato Rocco Guttà, non hanno mai mancato ad una udienza dei due gradi di giudizio.

L’OMICIDIO DI CORDì E LE INDAGINI CHE HANNO PORTATO ALL’ERGASTOLO DELLA SUA COMPAGNIA SUSANN BRESCIA

Era la tarda serata dell’11 novembre 2019. Nel cielo della Locride era in atto un maltempo. Quella sera in cui Susanna con una scusa portò Vincenzo in montagna. Le ultime immagini di una telecamera di videosorveglianza mostrano Vincenzo, pochi minuti prima della morte, lo ritraggono sereno, acquistava uno snack alla cioccolata. Era, infatti, dentro un bar sulla strada che da Marina di Gioiosa Ionica lo ha condotto nella località montana “Scialata”. Località dove poi è stato ucciso.

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Il gigante buono, come era definito da tutti per la sua statura e per la bontà d’animo, è stato prima tramortito. Poi, è stato messo dentro l’auto in posizione supina, sdraiato sul lato guidatore, con la testa collocata tra il pomello del cambio ed il volante. Là in quella posizione anomala per un suicidio, i tre lo hanno lasciato bruciare lentamente. Il giorno seguente la Brescia ha allertato i carabinieri ma a fare la denuncia di scomparsa è stata fatta dalla sorella dell’uomo. Quando i militari hanno rinvenuto il cadavere carbonizzato, la Brescia al fine di depistare le indagini, ha raccontato che Vincenzo parlava di suicidio.

I medici legali, Pietro Tarzia e Antonio Introia, non hanno avuto dubbi: Vincenzo era ancora vivo quando il suo corpo è stato dato alle fiamme.
Tre mesi di indagini meticolose, svolte con passione e in perfetta sinergia tra la Procura di Locri e i Carabinieri della compagnia di Roccella Jonica, hanno potato alla luce uno dei delitti più efferati mai avvenuto nella Locride. Non era facile per gli inquirenti risolvere il caso di Vincenzo Cordì ma il 3 febbraio 2020, sono scattati gli arresti.

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