Marjan Jamali
4 minuti per la letturaMarjan Jamali ottiene l’attenuazione della misura cautelare e passa a domiciliari e dopo 7 mesi può riabbracciare suo figlio
CAMINI – Si chiude un altro capitolo della intricata storia di Marjan Jamali, la 29enne iraniana tenuta in carcere sette mesi perché ritenuta una presunta scafista. Dopo che il suo avvocato, Giancarlo Liberati, ha ottenuto per la donna la sostituzione del regime di custodia cautelare dal carcere Panzera di Reggio Calabria, dov’era rinchiusa, è arrivata a Camini, nel centro di accoglienza del piccolo centro dell’Alta Locride, dove sono attivi i progetti Sai per stranieri. Accompagnata dal personale della Polizia penitenziaria, la donna, senza velo islamico, ha voluto subito riabbracciare Faraz, suo figlio, che dal giorno dell’arresto della madre era stato affidato provvisoriamente ad una famiglia afgana, giunta da tempo sempre a Camini, attraverso un corridoio umanitario.
A consegnare nelle braccia della giovane mamma iraniana è stata Zakia l’affidataria, vestita col classico abito afgano. Ed è stata una emozione generale di tutti coloro che sono scesi in strada per accogliere la donna. Grida di gioia, di liberazione da parte di Marjan Jamali e applausi da parte del gruppetto di persone radunate, a partire dal sindaco, Giuseppe Alfarano. Ci sono voluti quattro giorni perché la donna potesse lasciare il carcere. Non c’erano un braccialetto elettronico disponibile per poterglielo applicare. Sono stati probabilmente i giorni più lunghi per la 29enne, che nei mesi scorsi, perché distaccata dal figlioletto, aveva persino tentato il suicidio, ingerendo dei barbiturici.
Ora Marjan Jamali continuerà a scontare la misura cautelare agli arresti domiciliari. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria. E dovrà subire il processo, che è in corso al Tribunale di Locri. Secondo l’accusa, Marjam Jamali faceva parte di un carico di migranti di circa 100 persone, soccorse a bordo di un veliero verso la fine di ottobre del 2023, che è stato fatto sbarcare al porto di Roccella Jonica. La donna iraniana viaggiava insieme al figlioletto di 8 anni. I due, madre e figlio, erano scappati dalla violenza del compagno della donna e degli Ayatollah. Successivamente allo sbarco, la stessa è stata accusata da tre iracheni facenti parte di quel gruppo di stranieri, di aver fatto parte dell’equipaggio del natante dei migranti, sulla quale la stessa viaggiava.
L’hanno accusata e poi sono spariti. I testimoni avrebbero dichiarato il contrario dei tre iracheni. Lei ha denunciato, invece, quello che ha subito su quel veliero. Un tentativo di violenza sessuale davanti al figlioletto. Ha resistito. Un altro migrante è intervenuto per difendere la donna. Entrambi sono finiti in carcere. L’avvocato Liberati ha tentato più volte e inutilmente a presentare istanze per la sostituzione del regime carcerario per la donna. Lei continua a professarsi innocente. Prima dell’appello cautelare presso il Riesame di Reggio Calabria, il difensore della donna aveva anche presentato un ricorso in Cassazione per chiedere i domiciliari. La Suprema Corte non si è ancora pronunciata. Per i giudici «resta invariato il giudizio di gravità indiziaria».
Riguardo ai motivi dell’accoglimento dell’appello, i giudici hanno scritto nell’ordinanza, che «incidono nella presente fase le incombenti esigenze assistenziali nei confronti del figlio in tenera età, avendo la famiglia affidataria rappresentato che a breve non potrà prendersi cura del minore». Infatti, al termine dell’anno scolastico, ormai alla fine, il figlio avrebbe rischiato di essere affidato ad una comunità di minori, avendo la famiglia dove si trovava in affidamento, manifestato da mesi l’impossibilità a proseguire come prima.
«La sofferta separazione dal figlio – scrivono ancora i giudici del Riesame -, ha reso ancora più difficoltoso l’adattamento alla detenzione carceraria». Lo stesso avvocato Giancarlo Liberati, anche nelle ore successive all’ultima udienza, si è adoperato per fornire ai giudici altri elementi integrativi, per giungere alla decisione di sostituzione del sistema di detenzione per la sua assistita Marjam Jamali. La giovane iraniana si ricongiunge al figlio. Per il momento l’essenziale per Marjan Jamali era proprio questo. D’ora in poi la sua lotta, insieme al suo legale, sarà quella di dimostrare la sua innocenza. A Camini, durante l’esecuzione della misura, madre e figlio saranno a carico della cooperativa che si è resa disponibile a fornire beni e servizi, la Jungi Mundu di Rosario Zurzolo. Il processo nei confronti della stessa è appena iniziato e la prossima udienza è fissata per il prossimo 17 giugno al Tribunale di Locri.
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