Uno sbarco a Roccella Ionica
4 minuti per la letturaÈ iniziato il processo per Marjan Jamal, detenuta in carcere, è arrivata – insieme al figlio e altri 100 migranti- sulle coste di Roccella Ionica il 27 di ottobre 2023.
LOCRI- Marjan Jamali è una donna stremata e triste. La giovane iraniana di 29 anni è in carcere, in attesa di giudizio. È accusata di avere fatto parte dell’equipaggio di scafisti della barca a vela con cui nell’ottobre del 2023 è arrivata con il figlio di 8 anni a Roccella Jonica, insieme a carico di oltre 100 migranti.
Lunedì, 8 aprile 2024, è apparsa nell’aula del Tribunale di Locri dov’è iniziato il processo a suo carico. Marjan è arrivata dal carcere femminile di Reggio Calabria, accompagnata dalla Polizia penitenziaria, e si aspettava di abbracciare il figlio. Faraz però è andato a scuola, a Camini, il piccolo centro della Locride dove vive. Il ragazzo è accudito da una famiglia afghana che ha dei figli. Dal giorno che hanno arrestato la madre, la famiglia afghana ha accettato immediatamente di accogliere il piccolo iraniano. Forse Faraz nemmeno ha saputo che la madre era stata portata a Locri per la prima udienza dibattimentale del processo.
Una seduta relativamente breve che alla fine; la prossima udienza è fissata per il prossimo lunedì, 15 aprile. Data, questa, in cui i giudici dovranno sciogliere la riserva circa la richiesta del difensore della donna. Infatti, l’avvocato Giancarlo Liberati del foro di Reggio Calabria, ha chiesto la nullità del decreto di giudizio immediato notificato all’imputata. Il documento era in lingua araba anziché in quella farsi (iraniana), che è la lingua parlata da Marjan Jamali. A questa, il 22 marzo scorso, il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha negato la misura alternativa dei domiciliari.
Il ricorso dell’avvocato Liberati è stato respinto e qualche giorno fa sono stati depositati i motivi dell’ordinanza. Per il TdL «non esistono incertezze sulla persona nei cui confronti si procede per il delitto a fondamento del titolo cautelare». Che tradotto significa che la 29enne iraniana è costretta a stare in carcere e distaccata dal figlioletto di 8 anni.
I giudici del Riesame, in sostanza, confermano la prima decisione del Gip di Locri che ha ritenuto accettabili le accuse contro la donna fatte da tre stranieri. I tre infatti, l’hanno indicata di essere una degli scafisti, per poi rendersi irreperibili. Secondo la difesa sarebbero stati loro i veri scafisti, che si sono voluti vendicare per il rifiuto opposto dalla giovane a un tentativo di violenza sessuale.
Marjan Jamali dice di essersi opposta con tutte le sue forze, con l’aiuto di un altro soggetto. Un uomo che adesso si trova anche lui ora in carcere con la stessa accusa.
«Orbene – scrive il collegio del Riesame nelle motivazioni del provvedimento -, la versione resa dall’indagata non vale in questa sede ad infirmare il quadro indiziario. Considerato che non trova alcun elemento di conferma in atti».
La versione della donna iraniana, secondo i giudici, non è riportata dal coindagato. L’uomo si è limitato a negare gli addebiti senza fare alcun riferimento al tentativo di violenza sessuale subita dalla 29enne durante la traversata, all’intervento spiegato in favore della stessa e al risentimento che perciò avrebbe mosso i denuncianti.
«In ogni caso – si legge nelle stesse motivazioni del Riesame – il narrato dei tre migranti, peraltro di nazionalità diverse, appare credibile ed attendibile avendo gli stessi reso dichiarazioni convergenti seppure non identiche, escludendo quindi l’ipotesi di versioni concordate».
Mancano “elementi di novità” per potere scarcerare la donna. Ma, «deve ritenersi persistente il rischio concreto ed attuale di reiterazione criminosa, non eliso dalla richiesta di protezione internazionale presentata dalla donna nell’interesse proprio figlio minore».
In merito alla richiesta alternativa richiesta a favore della 29enne, scrivono ancora i giudici reggini, «deve ritenersi che allo stato non risulta indicato un luogo per la sua esecuzione».
Il Servizio centrale finora ha solo ritenuto «ipotizzabile» una “eventuale” collocazione della donna in un alloggio a Camini, insieme al figlio. Si è ipotizzato l’inserimento in un “progetto Sai” della cooperativa “Jungi Mundu” con sede nello stesso centro locrideo.
«Una motivazione poco convincente ha rigettato l’appello cautelare». Ha osservato l’avvocato Liberati, che ora è pronto a presentare nei prossimi giorni un ricorso per Cassazione. E, intanto, venerdì 12 aprile 2024, al Tribunale dei minori di Reggio Calabria, si discuterà sull’affido di Faraz. Il figlio di Marjan Jamali, in attesa di tornare a vivere insieme alla madre, potrebbe essere confermato alla famiglia afghana da tempo arrivata e accolta a Camini attraverso un corridoio umanitario.
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