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L'ingresso del cimitero di Locri

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LOCRI (REGGIO CALABRIA) – Circa 150 anni di carcere, con pene che vanno da 27 ai 5 anni di carcere. E’ la sentenza pronunciata ieri sera dai giudici della sezione penale del Tribunale di Locri (Fulvio Accurso, presidente e Cristina Foti e Federico Casciola, giudici a latere) nei confronti degli imputati del processo con il rito ordinario, nato dall’operazione “Riscatto”.

Dei sedici imputati, nove sono stati condannati. La pena più alta è stata inflitta a Salvatore Dieni, condannato a 27 anni di reclusione. Seguono, Guido Brusaferri (22 anni e 6 mesi), Domenico Cordì (classe 1979) 22 anni e 4 mesi, Gerardo Zucco (20 anni), Cosimo Alì (18 anni), Emmanuel Micale (14 anni), Antonio Alì (5 anni e 6 mesi), Vasile Iulian Albatoaei e Giorgio Alì, a 5 anni di reclusione ciascuno.

Assolti, invece, per insussistenza del fatto, i rimanenti imputati, per i quali la pubblica accusa aveva chiesto la pena della reclusione da un massimo di 15 anni fino a più di 3 anni. Si tratta di Cosmin Avasiloiei, Cesare Antonio Cordì, Teresa Giorgi, Fabio Modafferi, Cristina Nauman, Elis Lamer Nauman e Giuseppe Ripepi.

I giudici di Locri hanno inoltre condannato Domenico Cordì e Gerardo Zucco, in solido tra loro, al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile Antonio Rodinò, liquidato in via equitativa in euro 100 mila. Antonio Alì condannato a risarcire il sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, per euro 10 mila. Cosimo Alì, Guido Brusaferro, Domenico Cordì, classe ‘79, Salvatore Dieni, Emmanuel Micale e Gerardo Zucco, in solido tra loro, dovranno risarcire il danno delle parti civili Regione Calabria e Comune di Locri per 50 mila euro ciascuno.

L’operazione era scaturita dall’accorpamento di tre distinte e convergenti indagini, condotte da un lato dai Carabinieri e dall’altro dalla Guardia di Finanza.

In un primo blitz, eseguito nella notte del 2 agosto 2019 vennero arrestate 10 persone, ritenute appartenenti alla storica cosca locale dei “Cordì” di Locri. Dopo 20 giorni scattò un altro arresto legato ad una serie di sequestri di beni a carico di una quindicina di soggetti ritenuti appartenenti o comunque contigui allo stesso clan di ‘ndrangheta.

Per tutti, a vario titolo, veniva contestata l’associazione di tipo mafioso, l’estorsione, il danneggiamento seguito da incendio, l’illecita concorrenza con minaccia o violenza, la violazione della sorveglianza speciale, la detenzione e porto d’armi, con l’aggravante di aver agito per favorire gli interessi della ‘ndrangheta, appunto lo stesso clan reggino.

Sotto scacco erano gli imprenditori aggiudicatari di opere pubbliche e di appalti privati. Le “mazzette” erano calcolate sul valore degli appalti. I militari, nel corso delle indagini hanno scoperto azioni criminose per imporre da alcuni imputato la loro egemonia sulla gestione di servizi cimiteriali, come le onoranze funebri e la vendita di fiori nei pressi del camposanto comunale di Locri. Chi contrastava il monopolio imposto veniva “avvisato” con atti intimidatori di vario genere.

A qualcuno sono stati incendiati i mezzi di lavoro, un funzionario comunale trovò davanti alla propria abitazione un ordigno e persino il sindaco Calabrese venne minacciato “di non fargli più ritrovare le spoglie dei suoi parenti sepolti nel cimitero di Locri”. Ieri la sentenza con il rito ordinario. Altri sei imputati erano stati già giudicati e condannati a luglio del 2020 con il rito abbreviato.

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