Giancarlo Pittelli
2 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Tra persone fisiche e società, sono in tutto 44 gli indagati dell’inchiesta “Mala Pigna” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che ha fatto luce su un traffico di rifiuti gestito dalla cosca Piromalli di Gioia Tauro (LEGGI).
Per quanto riguarda l’avvocato Giancarlo Pittelli, arrestato per concorso esterno, secondo la Dda era «uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto “sinallagmatico”».
Questo rapporto, per i pm, era «caratterizzato dalla perdurante e reciproca disponibilità». Pittelli avrebbe garantito «la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere i più svariati problemi degli associati, sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione».
L’avvocato «si attivava a favore di Rocco Delfino nelle vicende giudiziarie riguardanti la revisione del procedimento di prevenzione nei confronti della società in confisca Delfino Srl, pendente dinanzi al Tribunale di Catanzaro Sezione Misure di Prevenzione, con l’intento di “influire” sulle determinazioni del Presidente del Collegio al fine di ottenere la revoca del sequestro di prevenzione, nonché con una serie di ulteriori condotte che esulavano dal mandato difensivo».
Secondo gli investigatori, infatti, l’ex senatore Pittelli aveva «illimitate possibilità di accesso a notizie riservate e a trattamenti di favore». Per questo «veicolava informazioni all’interno e all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti in regime carcerario ai sensi dell’articolo 41 bis». I boss che avrebbero usufruito del rapporto con Pittelli sono Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” e il figlio Antonio Piromalli reggente della cosca.
PITTELLI E LA PERIZIA SULL’OMICIDIO SCOPELLITI
Secondo l’accusa Pittelli avrebbe anche svolto, è scritto nel capo di imputazione, un ruolo «da “postino” per conto dei capi della cosca Piromalli nella perizia balistica relativa all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti», il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel Reggino, mentre rientrava a casa a bordo della sua autovettura.
In particolare, l’ex parlamentare, secondo l’accusa, avrebbe sottoposto all’attenzione di un indagato, ritenuto «soggetto di estrema fiducia» della famiglia mafiosa Piromalli di Gioia Tauro, «una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca».
In sostanza, per la Dda reggina, avrebbe pianificato «un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive, proveniente da profitti criminali».
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