Il porto di Gioia Tauro
3 minuti per la letturaGIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) – Ci sono squadre di portuali infedeli che nel porto di Gioia Tauro riescono a prelevare quantitativi di cocaina direttamente sulla nave in transito e non solo nei contenitori sbarcati sulle banchine del porto.
La conferma arriva grazie ad un’intercettazione che ha visto come protagonista il rosarnese Nicola Certo, cognato di Bruno Pronestì, ritenuto quest’ultimo, uno dei capi dell’organizzazione criminale colpita ieri con l’operazione Crypto.
Certo viene indicato come uno dei narcotrafficanti che teneva contatti con il sud America ed in particolare con Humberto Alexander Alvantara, detto Alex. Un uomo che si spostava dalla Repubblica Domenicana, alla Spagna, alla Germania per trattare quantitativi di cocaina. E lo faceva con disinvoltura ma anche con scaltrezza.
Grazie da una intercettazione gli inquirenti hanno capito come Certo avesse piena dimestichezza di come funzionasse il sistema di estrazione dei panetti di cocaina dal porto di Gioia Tauro. Proprio durante una lunga conversazione con Alcantara il cui contenuto verteva sulla pianificazione di una nuova importazione di cocaina, affermava di avere delle conoscenze nel porto per estrarre lo stupefacente dal container direttamente a bordo della nave.
Spiegava Nicola Certo con estrema precisione che, a detta delle persone che si sarebbero occupate dell’estrazione direttamente a bordo della nave, il predetto container, che non doveva essere scaricato a Gioia Tauro, ma restare sulla nave, ma anche che avrebbe dovuto essere caricato nella seconda o terza baia della stessa in posizione centrale rispetto alla lunghezza del natante, dove la scarsa o inesistente illuminazione, avrebbe consentito la riuscita dell’operazione (il cosiddetto metodo “Rip Off ). Inoltre il container avrebbe dovuto trovarsi al primo o massimo al secondo piano della pila.
Affermava che il compenso dovuto alla squadra che si sarebbe incaricata di portare a termine l’operazione era pari al 20- 25% del quantitativo di stupefacente importato. I due concordavano poi di contattarsi quando Alcantara sarebbe stato pronto per procedere con l’operazione in modo da fargli portare il denaro necessario, tramite suo fratello Domenico, Bruno e/o Giuseppe, direttamente in Germania, in Spagna o in Olanda.
Certo chiariva che il carico non doveva essere scaricato a Gioia Tauro perché aveva paura che la Guardia di Finanza intercettasse il carico: disegnava persino uno schema con una nave per spiegare dove doveva essere messo il container con la cocaina.
«Il lavoro loro non lo possono fare … perché devono fare così … là ci deve essere una sulla nave, giusto? … questa è la prua, davanti … poi c’è … loro chiamano “prima baia” … guarda qua … che sarebbe il centrale così … e questi qua sono i contenitori, okay? … seconda baia e terza baia … mo lui mi dice, questo qua della squadra, guarda qua … mi dice … siccome qua c’è il faro … okay? Che c’è quella cosa … la roba non la devono mettere nella prima baia … la devono mettere o nella seconda o nella terza baia … poi vedi qua, c’è … per sapere dove passano loro … e mi ha detto … la devono fare nel mezzo … centrale … la roba … o nella seconda baia o nella terza baia, centrale … i contenitori centrali … o il primo piano o massimo il secondo … Deve scaricare a Genova … però la prima tappa che fa, per esempio, che fa qua nel Mediterraneo è Gioia Tauro … è diretto a Genova … che la ditta … di pelle … lo ritira a Genova e la nave si ferma qua … dopo due giorni riparte per andare a Genova a scaricare il container di pelle … loro lo fanno subito … – incompr. – … mi ha detto così … Alex, loro … però mi ha detto … – incompr. – … prima mi ha detto … per cento … però poi mi ha detto … meno … – incompr. – … di cinquanta chili … perché loro che fanno? Siccome la devono scendere loro con i borsoni … di venticinque chili … poi hanno un mezzo … con il posto … e dal porto per tirarla fuori … hanno un posto».
Un posto, all’interno dello scalo, dove nascondere i borsoni zeppi di cocaina in attesa di poterli portare fuori dalla cinta doganale e consegnare quindi a coloro che avevano chiesto il lavoro, ovviamente trattenendosi il 20-25% dello stupefacente.
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