Il tribunale di Reggio Calabria
1 minuto per la letturaREGGIO CALABRIA – Il collaboratore di giustizia Daniele Filocamo voleva uccidere il boss del quartiere Gebbione di Reggio Calabria Pietro Labate, capo della cosca conosciuta con il soprannome dei “Ti Mangio”.
È quanto emerge da un verbale depositato dal pm della Dda reggina Walter Ignazitto nella prima udienza preliminare del processo “Heliantus”. Parlando del boss Pietro Labate, il pentito ha detto che il principale indagato dell’inchiesta della Dda è il «capo della cosca».
«In una circostanza – ha aggiunto Filocamo – avevo addirittura pensato di eliminarlo, sparandogli, perché si era comportato male con mio padre. Pietro Labate, spalleggiato da altri affiliati al suo gruppo, aveva chiesto a mio padre di comprare il caffè da suo genero e gli aveva intimato di non aprire uno dei nostri due bar sino a quando non avesse aderito alle sue richieste. Questo episodio risale al 2014-2015, al massimo all’inizio 2016».
A far desistere Filocamo dal progetto di uccidere il capocosca di Gebbione sarebbe stato Maurizio Cortese, boss dei Serraino, oggi anche lui pentito: «Quando Cortese fu scarcerato – ha detto il collaboratore al pm – mi portò a miti consigli dicendomi che “compare Pietro” per lui era come un padre. Sapevo che Pietro Labate era un personaggio di alto rango della ‘ndrangheta, ma io ero molto irruento e non pensavo alle conseguenze che un agguato nei suoi confronti avrebbe suscitato. Confidavo, inoltre, sul fatto che i rappresentanti delle altre famiglie non lo vedevano di buon occhio, tenuto conto che non si era voluto schierare durante la guerra di ‘ndrangheta imponeva estorsioni a Gebbione persino ai soggetti vicini alle altre ‘ndrine. Tutti, tra i Serraino, i Libri e i De Stefano da me conosciuti, nel nostro ambiente indicavano Pietro come il capo assoluto della cosca Labate».
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