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REGGIO CALABRIA – Dieci persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla produzione e al traffico di droga oltre che di illecita detenzione, spaccio e produzione di sostanze stupefacenti, sono state arrestate dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla locale procura della Repubblica.

L’operazione è stata chiamata in codice “Pollice verde”. Alcune delle persone coinvolte sono state trasferite in carcere, per le altre sono stati disposti gli arresti domiciliari. Altre tre persone risultano indagate a piede libero. Disposto anche il sequestro di beni.

L’indagine è stata coordinata dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal procuratore capo, Giovanni Bombardieri, ed avrebbe evidenziato un sistema di gestione della coltivazione e del confezionamento della marijuana, per poi distribuirla al consumo.

Secondo le indagini, il gruppo avrebbe messo in piedi un vero e proprio business “a km 0”. All’organizzazione sono state trovate 200 – nel giardino di un’abitazione e in altri due terreni tra i quartieri di Pellaro, San Cristoforo e centro città, per poi lavorarla e venderla direttamente sul mercato. Dieci gli arresti eseguiti dai finanzieri, 9 in carcere ed uno ai domiciliari.

I provvedimenti rappresentano l’epilogo di indagini della Dda reggina diretta da Giovanni Bombardieri, coordinate dal pm Giovanni Calamita e condotte dalla Compagnia della Guardia di finanza di Reggio Calabria.

Gli arrestati, secondo l’accusa, coltivavano lo stupefacente con metodologie tecnologicamente avanzate per garantire un’eccellente qualità. Dalle piante sequestrate l’organizzazione avrebbe potuto ricavare diverse migliaia di dosi di marijuana.

All’operazione è stato dato il nome «Pollice Verde», spiega la Guardia di finanza, proprio in riferimento «alla maniacale dedizione posta in essere dai criminali alla produzione in house dello stupefacente, con relativo peculiare know how che, di fatto, sbaragliava la concorrenza e garantiva elevati profitti».

Nei siti di coltivazione, la sostanza veniva abilmente curata, annaffiata, raccolta, fatta essiccare e confezionata, per poi essere distribuita direttamente al consumo tramite una rete di pusher tutti stabilmente partecipi all’associazione.

L’inchiesta, condotte con indagini tecniche, appostamenti, pedinamenti e osservazione, perquisizioni, oltre a diversi sequestri, ha permesso di raccogliere una serie di elementi che hanno portato all’emissione delle ordinanze cautelari.

L’organizzazione, secondo l’accusa, aveva una tipica struttura “piramidale”, con ruoli interni ben definiti. Al vertice ci sarebbero stati Domenico Di Grande, detto “Mimmone”, di 60 anni, e Valentino Buzzan (59). Erano loro, secondo l’accusa, che provvedevano alla ricerca dei terreni e degli altri spazi su cui avviare i lavori di produzione dello stupefacente, tenevano i contatti tra tutti i membri dell’organizzazione e cedevano, personalmente, la marijuana prodotta a una selezionata clientela o ai vari pusher. Gli altri componenti dell’organizzazione si occupavano prevalentemente di vendere la marijuana al dettaglio, trovare nuovi “clienti”, coadiuvare i capi nella coltivazione.

Oltre a Di Grande e Buzzan, sono stati arrestati Roberto Bevilacqua (35), Giuseppe Simone (45), Domenico Genoese Zerbi, detto “Nico” (48), Fabio Puglisi (40), Carmelo Tommasini (32), Fedele Zaminga (43), Sebastiano Trunfio (37) e Carmelo Gatto (30), quest’ultimo posto ai domiciliari.

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