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REGGIO CALABRIA – Rapporti con camorra e ‘ndrangheta sono stati accertati nell’indagine della Dda di Bari su due gruppi criminali dell’area garganica che ha portato oggi all’arresto di 24 persone, 13 in carcere e 11 ai domiciliari per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e armi e spaccio.

Le indagini del Gico della Guardia di finanza di Bari e della Squadra Mobile di Foggia, coordinata dai pm Lidia Giorgio, Giuseppe Gatti e Ettore Cardinali, hanno documentato l’alleanza per la gestione dei traffici illeciti tra il clan Li Bergolis di Monte Sant’Angelo, capeggiato da Enzo Miucci, e il clan lucerino Bayan-Papa-Ricci con a capo Alfredo Papa, entrambi arrestati.

I due gruppi criminali sono risultati in rapporti di affari, per l’approvvigionamento della droga e delle armi, rispettivamente con la ndrina calabrese facente capo alle famiglie Pesce-Bellocco operanti a Rosarno e Torino e con le organizzazioni camorristiche di Castellammare di Stabia e Pompei.

Delle 24 persone arrestate tra Puglia, Calabria, Abruzzo, Molise, Lazio e Piemonte, nove apparterrebbero ai due clan garganici, due alla ‘ndrangheta calabrese, Benito Palaia e Luca Fedele, e 13 sarebbero i clienti-pusher dell’organizzazione.

L’inchiesta ha rivelato anche l’abitudine dei sodali di ricorrere alla collaborazione di incensurati per custodire la droga all’interno delle loro case. Uno dei luoghi di stoccaggio dello stupefacente era il campo sportivo comunale di Monte Sant’Angelo, le cui chiavi erano nella disponibilità di uno degli indagati, mentre i summit mafiosi avveniva all’interno di masserie intestate a familiari dei sodali. La droga, acquistata dalla Calabria, dalla Campania e da Cerignola veniva poi venduta, tramite una fitta rete di pusher, sulle piazze di Foggia, del Molise e dell’Abruzzo.

A copertura dell’attività di spaccio c’era, stando alle indagini, quella di compravendita di auto. Contestualmente agli arresti, infatti, sono state sottoposte a sequestro anche due concessionarie, oltre a 10 immobili, 3 auto e 63 rapporti finanziari per un valore complessivo di 2 milioni di euro. I fatti contestati risalgono agli anni 2015-2016.

L’inchiesta, grazie a videoriprese, droni, intercettazioni e pedinamenti, ha documentato anche un agguato in diretta e «una sorta di apprendistato» del figlio 14enne del boss Miucci, come evidenziato dalla Procura, utilizzato per sabotare una delle telecamere nascoste installate dagli investigatori.

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