Un'aula di tribunale
1 minuto per la letturaREGGIO CALABRIA – Falange armata e mafia erano la stessa cosa. E’ quanto é emerso oggi dall’udienza del processo scaturito dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria “‘Ndrangheta stragista” (LEGGI I PARTICOLARI SULL’OPERAZIONE), in cui sono imputati il boss Rocco Filippone ed il capo mandamento di “Brancaccio”, Giuseppe Graviano, indicato come il mandante dell’omicidio di don Pino Puglisi.
Il procuratore aggiunto distrettuale Giuseppe Lombardo ha interrogato il dirigente della polizia di Stato Eugenio Spina, che aveva indagato sul fenomeno terroristico in Italia, il quale ha confermato l’esistenza della cosiddetta “falange armata”, sigla che aveva rivendicato numerosi attentati e fatti di sangue come l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuta nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla il 19 gennaio del 1994.
IL FASCICOLO DINAMICO SULL’OPERAZIONE ‘NDRANGHETA STRAGISTA
Spina ha comunque escluso che a tutt’oggi siano stati scoperti gli ideatori del sedicente gruppo terroristico, ma ha confermato la matrice unica ndrangheta-Cosa Nostra a cui attribuire l’assassinio dei due carabinieri. Dietro la sigla “Falange armata” gli inquirenti hanno individuato le più potenti “famiglie” di ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria – i De Stefano, i Papalia e i Piromalli – che avevano dato il loro assenso alla svolta stragista corleonese, progetto destabilizzante ideato da personaggi, non individuati singolarmente, legati a doppio filo ai servizi segreti deviati, ed in particolare alla settima divisione dell’ex Sismi, mandanti delle minacce ricevute dall’ex direttore del Cesis, Paolo Fulci, «reo» di avere indagato sulle loro attività illegali.
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