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Il tribunale di Reggio Calabria

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REGGIO CALABRIA – Richieste pesantissime per gli imputati del processo Crimine quelle formulate dall’avvocato generale dello Stato, Franco Scuderi, nell’aula bunker di Reggio Calabria. Il magistrato ha parlato per quasi un’ora, dopo che per diverse udienze i sostituti procuratori della Dda di Reggio, Giovanni Musarò e Antonio De Bernardo, avevano ricostruito fatti, parole, gerarchie e gradi di boss e affiliati alla ‘ndrangheta della “Provincia” di Reggio Calabria. 

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L’accusa ha chiesto la conferma di diverse posizioni, la riforma di altre e, infine, il ribaltamento delle assoluzioni disposte in primo grado. In buona sostanza, richiede di inasprire e per certi versi di ribaltare la pronuncia del Gup Giuseppe Minutoli,. Alla fine sono oltre 1000 gli anni di carcere invocati da Scuderi. Le condanne più pesanti sono quelle invocate nei confronti di Nicola Gattuso (18 anni e 8 mesi), Giorgio Demasi e Remingo Iamonte, Cosimo Leuzzi, Filiberto Maisano e Paolo Meduri (16 anni ciascuno), Bruno Gioffrè (14 anni).

Richiesta di 16 anni di reclusione anche per quel Domenico Oppedisano identificato nel nuovo “Crimine”: l’anziano di Rosarno su cui si concentreranno le critiche dei detrattori dell’indagine, condotta nel tentativo di affermare l’unitarietà della ‘ndrangheta della “Provincia” di Reggio Calabria. 

Nell’impostazione accusatoria, Oppedisano sarebbe stato investito della carica di “Crimine”, quella che, per molto tempo, sarà ricoperta da Antonio Pelle, detto ‘Ntoni Gambazza. Rilevante anche la richiesta nei confronti di Giuseppe Commisso, detto “u mastru”, l’uomo che, con i propri discorsi intercettati all’interno della lavanderia “Ape Green”, avrebbe svelato agli inquirenti molti dei segreti della ‘ndrangheta dell’area jonica, ma non solo.

L’indagine “Crimine ” condusse i Carabinieri a eseguire l’arresto di circa 300 presunti affiliati, con un blitz del 13 luglio 2010. L’indagine, curata dall’Arma dei Carabinieri, consta di una serie impressionante di intercettazioni telefoniche e ambientali, in cui gli investigatori hanno potuto ricostruire gerarchie e strategie della ‘ndrangheta. Attraverso le cimici e le riprese dei Carabinieri, infatti, si è potuto assistere, praticamente in diretta, a dei veri e propri summit di ‘ndrangheta. L’operazione, scattata in parallelo con l’inchiesta “Infinito”, della Dda di Milano, ha avuto anche il merito di scoperchiare i lucrosi interessi che le ‘ndrine hanno, ormai da anni, nel nord Italia.

Sulla scia di “Crimine”, infatti, nei mesi successivi, scattarono le indagini “Maglio” e “Minotauro”, sulle estensioni della criminalità organizzata calabrese in Liguria e in Piemonte. Si tratta, peraltro, di un maxiprocesso che potrebbe segnare una svolta epocale nella storia giudiziaria della lotta alla ‘ndrangheta: secondo la ricostruzione della Dda di Reggio Calabria la ‘ndrangheta si sarebbe strutturata con un organo superiore, detto “Provincia”. Una ricostruzione che in passato non era mai stata riconosciuta con sentenza definitiva, soprattutto con riferimento ai processi “Olimpia” e “Armonia”. Da qui, dunque, l’impegno dei pm Musarò e De Bernardo che, dopo aver seguito nella fase d’indagine e nel primo grado il procedimento, sono stati assegnati anche al grado d’appello, che si celebra al cospetto della Corte presieduta da Rosalia Gaeta.

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