Uno degli incendi nella tendopoli per i migranti
3 minuti per la letturaSAN FERDINANDO (REGGIO CALABRIA) – Chiede perdono ai lavoratori africani il sindaco di San Ferdinando Andrea Tripodi. Il gesto di un uomo che ha lottato, imprecato, pregato, per cercare in qualche modo di alleviare le condizioni dei migranti delle braccia e della terra. Lavoratori come lo furono i contadini della Piana per buona metà del secolo scorso, sfruttati e derisi da gruppi di latifondisti senza scrupoli. Rispetto ad allora è cambiato solo il colore della pelle degli sfruttati.
Nel nostro incontro quasi fosse una sorta di confessionale tra menti disperate ed ormai disilluse fa una premessa: «Le mie parole sono consapevoli della loro divisività e della loro inutilità».
Divisive perché quasi certamente provocheranno reazioni anche spropositate di chi concepisce l’umanità a strati; inutili perché forse nessuno tra coloro che hanno responsabilità istituzionali guarderanno bene dentro le sue parole ed assumeranno iniziative adeguate.
«Parole – dice Tripodi con un filo di voce rassegnata – che «non hanno finalità consolatorie o emotive e non sollecitano condivisioni o vicinanze. A lungo taciute, levigate, rimosse, ritornano costanti con tutto il loro bruciore e la loro visceralità».
San Ferdinando con le sue tendopoli e le baraccopoli che si ripetono dalle ceneri e dalle pale delle ruspe che hanno provato a distruggerle, è ormai divenuto, come lo fu prima Rosarno, luogo di metafora vivente delle contraddizioni di un mondo che solo a parole dice di essere civile ma che invece marginalizza, isola per convenienza.
Parole, emozioni e consapevolezze «nate tra gli afrori della baraccopoli di San Ferdinando, nel lezzo acre di quei tuguri angusti, gelidi d’inverno, opprimenti nei mesi estivi. Sono nate tra gli sguardi spossati o rancorosi dei migranti africani, pronti a cogliere nello sguardo dell’altro i segni della disponibilità o della inimicizia. Sono parole dure – aggiunge il sindaco – a lungo masticate perché perdessero la loro veemenza e lasciassero spazio alla riflessione, alla comprensione ponderata, alla soluzione ragionata e possibile. Parole accarezzate anche dalla Speranza quando nella Nuova Tendopoli si è riusciti a garantire a tanti migranti igiene, corrente elettrica, acqua calda e un letto sicuro: piccoli passi per indicare un percorso possibile, accompagnati da un progetto articolato di accoglienza, rappresentato a tutte le Istituzioni nazionali e regionali e da queste accolto tra la indifferenza e la distanza. Parole avvilite, oggi, davanti al ritorno di una baraccapoli anarchica e maleodorante, capace di fiaccare anche la determinazione più ostinata. Le stesse parole le rivolgo a voi, lavoratori africani, male accolti in questa terra che non ha avuto riguardo per le vostre odissee. Ha apprezzato i vostri muscoli ma non ha ascoltato le vostre parole. Non ha steso il filo spinato ma è invalicabile anche il muro della xenofobia e della esclusione».
«Perdonate! Perdonateci. Perdonate questa classe dirigente inadeguata, incapace di cogliere la complessità e le potenzialità di un fenomeno epocale intorno al quale sarebbe stato giusto e conveniente definire strategie di accoglienza e di evoluzione sociale e civile. Perdonate voi e perdonino anche i nostri figli che leggendo questa pagina ignobile della nostra storia, avranno pensieri duri e sguardi severi».
Poco più in là ciò che resta di quella che doveva essere l’organizzatissima tendopoli che avrebbe dovuto offrire servizi degli di un’umanità dolente in attesa di avviare progetti di integrazione e soluzioni abitative diverse e più civili e che invece si è trasformato nell’abbandono generale in un novo calvario del terzo millennio tra nuove sporche baracche e degrado.
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