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Una pattuglia della guardia di finanza

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REGGIO CALABRIA – I finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico hanno arrestato a Reggio Calabria Vincenzo Morabito, di 51 anni, e notificato un’interdizione dall’esercizio dell’attività direttiva di imprese per un anno a Giusi Larosa, di 38, sua ex convivente, con l’accusa di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, frode fiscale, emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili.

I provvedimenti sono stati emessi dal Gip del tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Dda reggina. Contestualmente sono stati sequestrati beni nei confronti di Girolamo Strangi, di 75 anni, Demetrio Rossini (56), Immacolata Leonardo (52) e per Giusi Larosa per un valore stimato in cinque milioni di euro nelle province di Reggio Calabria, Siena, Milano, Roma, Catania e Vicenza. Morabito e Strangi sono ritenuti vicini sia alle cosche Bellocco-Piromalli-Rugolo attive sul versante tirrenico della provincia reggina che ai De Stefano-Tegano operanti a Reggio Calabria.

Le misure eseguite costituiscono l’epilogo delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Reggio Calabria, in relazione ai fallimenti dichiarati tra il 2010 e il 2015 di alcune imprese operanti nel settore del commercio di elettrodomestici ed apparecchi televisivi.

Le investigazioni svolte hanno permesso di rilevare l’esistenza di una struttura organizzata creata con lo scopo di evadere le imposte in modo fraudolento e sistematico, sia attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti sia attraverso l’omessa dichiarazione dei redditi prodotti, portando al fallimento le società non ritenute più idonee allo scopo illecito e riciclando i relativi proventi delittuosi. Dominus dell’attività era Vincenzo Morabito in contatto con Girolamo Strangi. Compartecipe è risultata la Larosa amministratrice di una società maltese e titolare di cariche in cinque società.

Il nome di Strangi era emerso, in passato, anche un’indagine nella quale era interessato anche Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino per evasione fiscale, omessa tenuta di scritture contabili, emissione di fatture per operazioni inesistenti, falso, frode doganale, inizialmente aggravati dall’”agevolazione mafiosa».

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