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La zona del Pirellone

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REGGIO CALABRIA – Soldi frutto di evasione fiscale, incamerati attraverso un sistema di false fatture, sarebbero stati investiti tra la Romania e Milano e sarebbero finiti in parte anche nelle tasche della ‘ndrangheta. E’ il quadro dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Milano Alessandra Dolci e dal pm Bruna Albertini e condotta dal Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano, che oggi ha portato all’arresto di otto persone.

Sequestrato anche un bar di via Pirelli, vicino al Pirellone, nel capoluogo lombardo. Tra gli arrestati (6 in carcere e 2 ai domiciliari) c’è Bruno Crea, cognato di Alvaro Natale, presunto boss al vertice della ‘ndrina di Sinopoli San Procopio (Reggio Calabria), già condannato per associazione mafiosa.

Anche al presunto boss sarebbe arrivata parte dei soldi frutto di evasione fiscale. Le ordinanze sono state firmate dal gip Giusi Barbara e il presunto profitto dell’evasione ammonta a circa 8 milioni e 600 mila euro. Le accuse sono associazione per delinquere finalizzata a reati tributari anche aggravati dall’agevolazione mafiosa.

Da quanto si è saputo, inoltre, l’associazione per delinquere (ad alcuni degli arrestati viene contestata anche l’aggravante di aver agevolato la cosca della ‘ndrangheta capeggiata da Alvaro Natale) stava cercando anche di mettere in piedi un’attività di smaltimento illecito dei rifiuti a Lazzate (Monza e Brianza).

Bruno Crea, finito in carcere nell’inchiesta e presunto cognato di Natale Alvaro, a capo dell’omonima cosca della ‘ndrangheta calabrese, «ha avuto contatti e rapporti d’affari con pregiudicati anche estranei alla sua cerchia familiare», come Guerino Casamonica del clan attivo a Roma, ma anche con «Gianpaolo Tarantini», l’imprenditore barese che avrebbe portato escort nelle residenze estive di Silvio Berlusconi. Lo si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giusi Barbara nell’inchiesta della Dda e del Nucleo di polizia tributaria-Gico della Gdf di Milano.

Crea, anche in rapporti con Valter Lavitola (ex direttore de L’Avanti e coinvolto in varie inchieste), aveva, infatti, anche «offerto un lavoro» a Tarantini «in una sua cooperativa per fargli ottenere gli arresti domiciliari».

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