Un'operazione della Dia
5 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – La Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria ha eseguito un’ordinanza di misure cautelari con contestuale sequestro preventivo emesso dal gip Domenico Santoro del tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Dda nell’ambito dell’operazione “Thalassa”.
Sono 6 le persone arrestate, 5 finite in carcere e uno ai domiciliari, e 11 i milioni di beni sequestrati. Le indagini, sotto la direzione del sostituto procuratore della Dda Stefano Musolino e il coordinamento del procuratore della Repubblica Gaetano Calogero Paci, hanno portato alla luce l’attività illecita di persone ritenute appartenenti alle cosche di ‘ndrangheta Tegano e Condello, operanti nei quartieri di Archi e Gallico alla periferia nord della città di Reggio Calabria.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, il sodalizio, attraverso la gestione “di fatto” di alcune imprese, si era infiltrato nell’esecuzione di appalti e lavori edili acquisendone il pieno controllo e condizionandone l’ordinaria attività. Ciò avrebbe consentito di beneficiare di vantaggi economici da poter utilizzare per finanziare ulteriori attività economiche di interesse delle cosche.
Con la stessa ordinanza, è stato disposto il sequestro preventivo di 5 imprese (2 ditte individuali e 3 società di capitali) riconducibili agli arrestati. Il valore complessivo delle imprese sottoposte a sequestro, che verranno affidate alla gestione di un amministratore giudiziario, ammonta a 11 milioni di euro. All’operazione hanno contribuito le articolazioni Dia di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, Catania e Messina.
Nello specifico, il responsabile pro tempore dello Sportello unico Attività produttive del Comune di Reggio Calabria avrebbe rilasciato permessi a costruire e autorizzato successive varianti “in maniera illegittima, in violazione di quanto previsto dagli strumenti urbanistici vigenti”, spiega il procuratore vicario Paci. Per il dirigente – fratello del consigliere regionale del Pd Domenico Battaglia – la Dda aveva chiesto l’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa, richiesta rigettata dal gip.
Il gip, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza, nonché le esigenze cautelari connesse al pericolo di inquinamento probatorio ed all’attualità ed assoluta concretezza del rischio di reiterazione dei reati, ha disposto il carcere per Andrea Vezzana, 51 anni, Fracesco Vezzana, 48 anni, e Francesco Polimeni, di 54, accusati di associazione mafiosa e illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravati dall’aver commesso i reati nel periodo e nei tre anni successivi all’esecuzione nei loro confronti della sorveglianza speciale di polizia, divenuta definitiva; la custodia cautelare in carcere nei confronti di Demetrio Pastorino, 61 anni, e Salvatore Pastorino, di 63, accusati di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza ed estorsione aggravata.
Ai domiciliari è finito il 49enne Francesco Richichi per estorsione aggravata. Altre 17 persone risultano indagate, a vario titolo, per i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, estorsione e reati contro la pubblica amministrazione.
L’attività investigativa ha fatto piena luce sulle vicende relative alla edificazione del “Complesso Immobiliare Thalassa” da parte della società Tegra costruzioni Srl, “rivelatasi in concreto – si legge in una nota della procura a firma del vicario Paci – un mero schermo finalizzato a nascondere l’interesse delle cosche ‘arcote’ nell’edificazione e nella successiva gestione della vendita dei fabbricati, insistenti nel predetto complesso immobiliare”.
Gli amministratori della Tegra Srl avrebbero ceduto agli esponenti delle cosche Tegano e Condello la selezione della gran parte delle imprese fornitrici e dei compratori degli immobili, ottenendo in cambio la garanzia derivante dalla protezione delle cosche, nonché l’ampliamento dei propri interessi imprenditoriali attraverso la gestione, in una porzione del complesso, di una attività ricettiva. “La dimostrazione di questo assunto emerge, in tutta evidenza, nella ricostruzione delle trattative per l’acquisto di una consistente porzione del fabbricato da adibire a punto vendita di una società operante nel settore della grande distribuzione alimentare”, spiega la procura.
Tali accordi erano stati definiti, in tutti i dettagli, tra gli amministratori della società acquirente, già a loro volta coinvolti nel procedimento penale Sistema-Assenzio, ed esponenti di spicco delle richiamate cosche, occultati dietro il paravento della società Tegra Srl per eludere la possibile applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
La ricostruzione investigativa ha fatto emergere l’ampia operatività di persone che si sono rese responsabili di plurimi atti di concorrenza sleale attiva e passiva (estorsioni e intimidazioni), attraverso i quali riuscivano a condizionare l’andamento delle imprese edili, agevolando quelle che costituivano diretta espressione della ‘ndrangheta, ovvero quelle che operavano in maniera strumentale agli interessi della criminalità organizzata. L’organizzazione criminale si è avvalsa anche della “disponibilità” di pubblici dipendenti che hanno posto in essere condotte contrarie ai propri doveri d’ufficio.
Secondo gli investigatori diretti dal col. Teodosio Marmo, «la ‘ndrangheta si conferma assoluto monopolista nel settore edile e dimostra di possedere straordinarie capacità di infiltrare la pubblica amministrazione».
Tra gli arrestati, i ‘rampollì delle cosche Tegano e Condello di Archi, e tre imprenditori che avevano realizzato un complesso di villette in contrada “Armacà”, in prossimità della spiaggia del quartiere ‘Archì, dove risiedono i Tegano, i Condello e i De Stefano, il gotha della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. «Quelle costruzioni – ha detto Paci – sono state realizzate in aperta violazione delle norme urbanistiche e difformemente rispetto alle licenze edilizie del Comune di Reggio, grazie ad alcune certificazioni prodotte dal dirigente dello Sportello unico delle attività produttive dell’ente, Peter Battaglia».
«Battaglia – ha detto Marmo – aveva di fatto agevolato con le sue attestazioni, in cambio di due appartamenti acquisiti a prezzo svilito e intestati a lui ed alla moglie, l’esecuzione dei lavori per la realizzazione del complesso immobiliare nel cuore di Archi». «Dentro la vicenda – ha detto Paci – fa capolino anche la figura dello scomparso nel 2008 e ancora non ritrovato Paolo Schimizzi, considerato un ‘rottamatorè dei vecchi equilibri, nipote del boss Giovanni Tegano, che da alcune intercettazioni dimostra di avere un ruolo centrale nella cosca, soprattutto nei rapporti con la pubblica amministrazione, tanto che dalla data della denuncia della sua scomparsa, i lavori del complesso immobiliare si interrompono per oltre quattro mesi, fino a che i Condello-Tegano non rinnovano l’accordo per la prosecuzione dei lavori. Sarà la stessa moglie dello Schimizzi a confermare in una intercettazione di avere ricevuto in cambio dell’interessamento del marito per il buon fine dell’iniziativa, un appartamento in cui pensavano di trasferirsi».
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