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Il procuratore Federico Cafiero De Raho

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REGGIO CALABRIA – «Con questa operazione abbiamo dato l’esatta dimensione di cosa sia oggi la ‘ndrangheta».

A sostenerlo è il capo della Procura di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho incontrando i giornalisti per illustrare i particolari dell’operazione “‘ndrangheta stragista” (LEGGI I PARTICOLARI DELL’OPERAZIONE) insieme al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, all’aggiunto Giuseppe Lombardo – che ha coordinato le indagini insieme al collega della procura nazionale Francesco Curcio, al pm della Direzione distrettuale antimafia reggina Antonio De Bernardo ed allo stesso de Raho – ed agli investigatori della Polizia di Stato che hanno condotto l’inchiesta.

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Il procuratore ha puntualizzato come «grazie all’apporto della Procura nazionale antimafia, struttura fortemente voluta da Giovanni Falcone siamo riusciti a ricomporre dentro un unico mosaico le strategie di Cosa nostra, ‘Ndrangheta, con l’apporto di camorra e sacra corona unita, nel portare avanti il programma stragista voluto dal capo corleonese Totò Riina e che trovò ampia convergenza nelle cosche Piromalli, De Stefano, Libri, Tegano e Papalia».

Nello specifico, il lavoro «di ricostruzione di decine di deposizioni di collaboratori di giustizia, come Leonardo Messina, Giuseppe Spatuzza, Gioacchino Pennino, Antonino Fiume, Nino Lo Giudice e Consolato Villani, solo per ricordarne alcuni, hanno trovato conferma nell’adesione di una parte consistente della ‘ndrangheta a perseguire l’obiettivo di attacco allo Stato, con l’uccisione dei carabinieri Fava e Garofalo il 18 gennaio del 1994, i tentati omicidi di altri due uomini dell’Arma, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra l’1 febbraio successivo alla periferia sud di Reggio Calabria, sui cui autori, Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Filippone, e Consolato Villani, la giustizia ha fatto il suo corso, ma ancora mancano i mandanti, i nomi degli strateghi che decisero quei crimini. I carabinieri erano il simbolo di uno Stato da abbattere, scelte fatte non a caso».

LE STRAGI E LA NASCITA DI FORZA ITALIA: LEGGI LA RICOSTRUZIONE

De Raho ha poi ricordato «l’importanza al ruolo di Rocco Santo Filippone, capobastone di Melicucco, paese della Piana di Gioia Tauro, nella cui abitazione furono fatte numerose riunioni di ‘ndrangheta sollecitate dai Piromalli, riuscito finora a scomparire dal radar della giustizia per le sue gravi responsabilità. I Piromalli, infatti, gli avevano affidato il ruolo di loro rappresentante nelle plurime riunioni con Cosa nostra che egli stesso convocava per approntare le azioni criminali».

L’inchiesta, inoltre, conferma «il ruolo di primo piano negli equilibri della ‘ndrangheta dei fratelli Rocco e Francesco Musolino, boscaiolì aspromontani, che negli anni ’80 “istruivano” il pentito siciliano Gioacchino Pendino su come costruire una “rete” di interessi fatta da piduisti, ndranghetisti e settori della pubblica amministrazione per estendere l’influenza criminale sulle decisioni della politica e delle istituzioni».

«Rocco Musolino – ha detto Lombardo – è morto da incensurato nella sua abitazione a novant’anni. Il suo nome è legato all’omicidio, avvenuto per motivi ancora da chiarire interamente nel novembre del 1977 a Gambarie d’Aspromonte del boss Giorgio De Stefano, fratello maggiore di Paolo, Giovanni e Orazio De Stefano. Giorgio De Stefano, cugino e omonimo del penalista coinvolto attualmente nel processo «Gotha», (SCOPRI IL FASCICOLO IN AGGIORNAMENTO DINAMICO CON TUTTE LE NOTIZIE SULL’OPERAZIONE GOTHA) era ormai un capo di assoluto carisma criminale nazionale. Nella riunione degli anni ’70 al ristorante il «Fungo» a Roma, partecipò insieme ai Piromalli, ai Papalia e ad alcuni personaggi legati all’estremismo di matrice neofascista di Roma per discutere le strategie criminali ed i rapporti con i servizi deviati e la criminalità economica. Nella sua abitazione del quartiere Archi, nella periferia nord di Reggio Calabria, fu trovato un fucile mitragliatore Ingram di fabbricazione inglese, modello identico a quello usato da Pierluigi Concutelli per assassinare il giudice Vittorio Occorsio che indagava sui collegamenti tra mondo criminale, neofascismo e pezzi deviati delle istituzioni.

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