Il canile di Mortara a Reggio Calabria
2 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – I carabinieri forestali di Reggio Calabria hanno arrestato, ponendolo ai domiciliari, il gestore del canile municipale, Irene Putortì, di 50 anni, accusata di una serie di reati che vanno dalla truffa, al falso ed al maltrattamento di animali.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’arrestata è la legale rappresentante dell’associazione “Aratea”, che ha in gestione il canile municipale, ubicato in località Mortara di Pellaro. I militari hanno anche sequestrato la struttura in esecuzione di un provvedimento del Giudice per le indagini preliminari.
Dall’indagine dei carabinieri forestali sarebbe emersa una serie di gravi irregolarità nella gestione del canile. Tutte irregolarità che sarebbero da collegare alle procedure di gara finalizzate all’aggiudicazione della gestione della struttura. I reati contestati ad Irene Putortì sarebbero stati commessi, stando alle risultanze delle indagini, in concorso con altri soggetti che sono in via d’identificazione.
All’indagata sono contestati diversi reati, tra i quali quello di truffa ai danni dell’ente comunale per aver prodotto false attestazioni nell’ambito della procedura finalizzata all’aggiudicazione della gestione del canile, di estorsione e di violenza privata nonché quello di maltrattamento di animali, per aver detenuto i cani ospitati nella struttura in condizioni incompatibili con la loro natura.
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L’indagine, condotta dal Nucleo investigativo reati in danno agli animali, in forza al Gruppo Carabinieri Forestale di Reggio Calabria e coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ha consentito di ricostruire la travagliata vicenda relativa alla gestione del canile comunale ed al suo affidamento a soggetti privati che, da anni, è al centro di un’annosa querelle che ha visto interessi, a volte contrapposti, di associazioni animaliste, Comune di Reggio Calabria e servizi veterinari dell’Azienda sanitaria provinciale che ha portato, nel tempo, al degrado della struttura terminata nel 2009 e mai utilizzata, diventando, nel tempo, inidonea ad ospitare le centinaia di cani presenti.
Secondo le indagini, dunque, il denaro pubblico, invece di porre le basi per la soluzione del problema del randagismo canino nel Comune di Reggio Calabria e dell’intera provincia, non ha fatto altro che suscitare non pochi appetiti di soggetti privati, lasciando in secondo piano il benessere degli animali ed evidenziando l’inadeguatezza degli Enti locali e sanitari preposti per legge a risolvere detta problematica.
Dall’analisi degli atti, risulterebbero condotte illecite che lasciano ipotizzare ulteriori responsabilità a carico di altri soggetti coinvolti. Le attività di indagine hanno permesso agli inquirenti di scoprire “un desolante quadro dal quale emergono numerose ipotesi di reato contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, la fede pubblica, oltre che in danno degli animali e dell’ambiente”.
La struttura è stata ora affidata al responsabile nazionale dell’ Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali), mentre la componente sanitaria del canile è stata affidata all’Asp di Reggio Calabria.
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