il procuratore Federico Cafiero De Raho
5 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore capo Federico Cafiero De Raho, ha chiesto il rinvio a giudizio del senatore di Gal Antonio Caridi (SCOPRI CHI È CARIDI) e diverse altre decine di persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, voto di scambio, violazione della legge Anselmi, corruzione, estorsione, truffa, falso ideologico e rivelazione di segreti d’ufficio.
Lo scorso 30 dicembre la Procura aveva notificato la chiusura delle indagini per oltre 80 persone (LEGGI LA NOTIZIA) legate a ben cinque indagini condotte nel corso dell’ultimo anno a Reggio Calabria e riunite nell’operazione Gotha.
Caridi, costituitosi nell’agosto scorso dopo che Palazzo Madama aveva concesso l’autorizzazione al suo arresto (LEGGI IL RACCONTO DEL VOTO E LA DECISIONE DI CARIDI CHE SI COSTITUISCE A REBIBBIA), è accusato di essere stato uno strumento della cupola «riservata» della ‘ndrangheta.
(LEGGI L’ARTICOLO CHE TRATTEGGIA IL QUADRO
D’INSIEME DELLE INCHIESTE SULLA POLITICA)
Oltre a Caridi sono indagati l’avvocato Giorgio De Stefano, l’ex parlamentare Paolo Romeo, l’ex sottosegretario della Regione Calabria Alberto Sarra, ed il dirigente della Regione Calabria Francesco Chirico. Secondo l’accusa avrebbero fatto parte, a vario titolo, della componente “riservata” della ‘ndrangheta che era al vertice dell’intera organizzazione. La richiesta di rinvio a giudizio sintetizza cinque diversi filoni investigativi condotti dai pubblici ministeri della Dda reggina Roberto Di Palma, Giulia Pantano, Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino e Walter Ignazitto, e note come:
- “Mammasantissima” (LEGGI I DETTAGLI DELL’INCHIESTA “MAMMASANTISSIMA),
- “Sistema Reggio” (LEGGI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE SISTEMA REGGIO),
- “Fata Morgana” (LEGGI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE FATA MORGANA),
- “Reghion” (LEGGI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE REGHION)
- “Alchemia” (LEGGI I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE ALCHEMIA)
Le accuse a Caridi
Il senatore Antonio Caridi, per il quale la Dda di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio, è accusato dai magistrati di fare «stabilmente parte, rivestendo i ruoli apicali, dirigenziali ed organizzativi, della componente ‘segreta o riservata’ della ‘ndrangheta. Una «cupola», della quale, secondo l’accusa, avrebbero fatto parte anche l’avvocato Giorgio De Stefano, l’ex parlamentare Paolo Romeo, l’ex sottosegretario della Regione Calabria Alberto Sarra, ed il dirigente della Regione Calabria Francesco Chirico. Caridi, indicato nella richiesta di rinvio a giudizio come “partecipe qualificato” della componente riservata, avrebbe fruito «dell’appoggio della cosca De Stefano in occasione di tutte le consultazioni elettorali alle quali prendeva parte, dalla prima candidatura (elezioni comunali 1997) alle elezioni regionali del 2010» e delle altre cosche legate ai De Stefano.
Una volta eletto, per la Dda reggina, Caridi «opera in modo stabile, continuativo e consapevole a favore del sistema criminale di tipo mafioso che agevola mediante l’uso deviato del proprio ruolo pubblico». La componente «segreta» della ‘ndrangheta di cui avrebbe fatto parte Caridi, per gli inquirenti, ha «funzioni di direzione strategica» ed è stata «pensata e strutturata in ossequio alle indicazioni provenienti dagli andamenti evolutivi della organizzazione registrati a partire dal 1969/70, prima, ed a conclusione della seconda guerra di mafia, dopo, in linea con le scelte di Giorgio e Paolo De Stefano (entrambi deceduti), riconosciuti fondatori ed ideatori, nei primi anni ’70 della prima ‘struttura riservata’ della ‘ndrangheta denominata ‘A mamma santissima».
La Cupola, «dotata di poteri deliberativi, nell’ambito di una strutturazione di moderna concezione in grado di garantire l’impermeabilità informativa, l’agilità operativa, il proficuo perseguimento degli scopi programmati e la continua interrelazione con i soggetti inseriti nel medesimo contesto criminale, a questo collegati o contigui», per la Dda è destinata «ad estendere il programma criminoso negli ambiti strategici di maggior interesse, con particolare riferimento a quelli politici, istituzionali, professionali, informativi, finanziari, imprenditoriali, bancari ed economici».
Inoltre avrebbe curato «il coordinamento delle operazioni delittuose riferibili al sistema criminale mafioso composto, oltre che dalla ‘ndrangheta, anche da cosa nostra, camorra e sacra corona unita, e da strutture a carattere eversivo».
Chiesto il processo anche per don Pino Strangio
C’è anche il parroco di San Luca Giuseppe Strangio, già rettore del Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, tra le decine di persone per le quali la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiesto il rinvio a giudizio. Don Strangio è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché, è scritto nella richiesta, avrebbe svolto un ruolo di «mediatore nelle relazioni tra esponenti istituzionali ed esponenti della «’ndrangheta, funzionali allo scambio tra informazioni ed agevolazioni». Il sacerdote ha lasciato la guida del Santuario, retto per una ventina d’anni, il 28 gennaio scorso (LEGGI LA NOTIZIA) quando il vescovo di Locri Francesco Oliva ha accolto la sua richiesta di dispensa avanzata proprio dopo avere ricevuto l’avviso di conclusione indagini.
Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di culto mariano noto anche per i summit che, secondo quanto è emerso da diverse inchieste, le cosche di ‘ndrangheta vi tenevano in coincidenza della festa dell’1 e 2 settembre per decidere strategie e affari. Strangio, è scritto nella richiesta di rinvio a giudizio, «mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘ndrangheta, in funzione di garante delle promesse e di agevolatore dello scambio tra le informazioni gradite ai primi e varie forme di agevolazione gradite ai secondi, in maniera che l’azione di contrasto dello Stato si nutrisse di apparenti successi, dietro ai quali nulla mutasse nelle reali dinamiche di potere interne alla ‘ndrangheta (ovvero queste mutassero, grazie a guidatì interventi repressivi, secondo le strategie dei massimi esponenti dell’associazione criminale) ed in quelle correnti tra quest’ultima e le altre strutture di potere, riconosciute e non riconosciute, così rafforzando la capacità dell’organizzazione criminale di controllare il territorio, l’economia e la politica ed amplificando la percezione sociale della sua capacità d’intimidazione, generatrice di assoggettamento ed omertà diffusi».
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