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REGGIO – Una accusa inquietante ha portato all’arresto di Francesco Barone, rosarnese di 22 anni nipote del boss defunto Pietro Bellocco, che per gli inquirenti avrebbe ucciso la madre, Francesca Bellocco, perché intratteneva una relazione con il boss di un’altra famiglia mafiosa, Domenico Cacciola. 

LEGGI LA NOTIZIA DELLA SCOMPARSA DI FRANCESCA BELLOCCO

Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia il giovane Barone sarebbe stato alla testa di un commando di sicari che hanno commesso l’omicidio della madre Francesca Bellocco e poi ne hanno occultato il cadavere che ad oggi non è stato ancora ritrovato. 

La donna sarebbe stata punita in ossequio a delle arcaiche regole della ‘ndrangheta perché intratteneva una relazione con il boss Domenico Cacciola, anch’egli scomparso contestualmente alla sparizione della donna nell’agosto del 2013 a Rosarno. 

Secondo quanto ricostruito nelle indagini, fu Francesco Barone, insieme al padre Salvatore, sorvegliato speciale, a denunciare l’allontanamento da casa della madre Francesca Bellocco. L’arresto di Francesco Barone, accusato dell’omicidio della madre Francesca Bellocco, è stato possibile grazie anche alla collaborazione di un vigile urbano che abitava accanto alla residenza estiva della donna, e che oggi vive sotto protezione con la famiglia e con nuove identità in una località segreta.

Nessuno invece, a distanza di mesi dalla scomparsa avvenuta nell’agosto 2013, aveva segnalato alle forze dell’ordine l’allontanamento di Domenico Cacciola, 50 anni, già noto alle forze dell’ordine, parente di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta il 20 agosto 2011 per avere ingerito acido muriatico ma che, secondo la Corte d’assise di Palmi, sarebbe stata uccisa.

IL COMMENTO DEL PROCURATORE – «Non riesco ad immaginare come possano essere rotti, piegati i sentimenti tra una madre ed un figlio, al punto da togliere la vita a chi ha dato la vita. Un capovolgimento di valori che arriva al punto da non riconoscere nemmeno quello che è il legame più forte: madre-figlio». Questo il commento del procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho che riguardo la testimonianza che ha reso possibile l’arresto ha evidenziato come sia stato «un esempio bellissimo di omertà che viene frantumata da un uomo che dimostra il senso dello Stato. Una decisione che dimostra quanto sia importante che le cose cambino, che vicende di questo tipo non si ripetano più e quanto sia importante il contributo del cittadino calabrese che deve contribuire a cambiare il territorio. Ma deve cambiare esprimendo al massimo quel sentimento di solidarietà che dovrebbe avvincere tutti in un’unica società, la società del progresso. Quest’uomo – ha concluso il procuratore di Reggio Calabria – ha messo in discussione tutto, pur avendo dei figli oramai grandi, uno dei quali addirittura prossimo al matrimonio. Ha deciso di parlare perché ha creduto nello Stato e soprattutto nella possibilità che le cose cambino».

Il comandante provinciale dei carabinieri col. Lorenzo Falferi ed il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi hanno sottolineato la sinergia tra i diversi corpi che ha consentito di svelare i retroscena di una vicenda «che dimostra – ha rilevato Grassi – le regole arcaiche sulle quali si basano queste organizzazioni mafiose. 

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