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Giuseppe Romeo

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SAN LUCA (RC) – «Voglio la testa di quei due figli di puttana». Anzi, la cabeza. Si rischiò una guerra tra narcos e ‘ndrangheta. Tra gennaio e febbraio 2020, in piena era Covid, l’ex super latitante Giuseppe Romeo avrebbe acquistato una partita di 300 chili di cocaina dai sudamericani.

E avrebbe sequestrato una persona, minacciandola di morte a mano armata, per avere restituiti 400mila dollari anticipati per l’acquisto della droga. Per quasi tre mesi un uomo rimase ostaggio di Romeo: bendato, minacciato, con un fucile puntato alla tempia, fu rilasciato soltanto dopo che il boss riottenne i suoi soldi. La cocaina, infatti, era stata sequestrata dalla polizia in Belgio.

«”Super” – il nick name del suo interlocutore – restituisci i soldi, altrimenti sai cosa succederà, ci ammazzeremo tutti». C’è questo e altro nelle carte dell’inchiesta Aspromonte Emiliano, con cui la Guardia di finanza di Bologna ha smantellato un’organizzazione dedita al narcotraffico. Figura cardine Romeo, capace di instaurare rapporti con narcos sudamericani, gruppi criminali albanesi, ma anche con i Casamonica di Roma e la ‘ndrangheta del Crotonese.

Dall’analisi delle chat criptate, sono emerse ingenti forniture di cocaina acquistate da varie organizzazioni criminali in America Latina, poiché Romeo trattava direttamente con cartelli colombiani, brasiliani, boliviani, equadoregni, colloquiando con i suoi criptofonini comodamente dalla Spagna, dove si era dato alla latitanza (sarebbe stato arrestato nel marzo 2021). Il 37enne di San Luca sarebbe stato al vertice di un sodalizio criminale che movimentava fiumi di cocaina. La droga, dopo occasionali scali in Costa d’Avorio, giungeva nei porti del Nord Europa – Rotterdam, Amburgo, Anversa – e veniva importata in Italia per essere smerciata sul territorio nazionale, ma soprattutto al Nord, grazie alla centralità emiliana dell’organizzazione.

Nel corso delle indagini è stata fatta luce anche su carichi di cocaina che il boss latitante gestiva insieme al Primeiro Comando da Capital brasiliano e gruppi colombiani ma anche con potenti narcos peruviani stanziati in Messico e Bolivia. Le compravendite erano gestite tramite chat Sky Ecc, un sistema impenetrabile per cui gli indagati credevano di poter comunicare liberamente, e ci sarebbero riusciti ancora se non fosse stato per un agente infiltrato della Guardia di finanza. Ma le accortezze dei narcos della ‘ndrangheta erano tante. Per rendere più difficile la rilevazione della sostanza durante i controlli portuali, la droga veniva inviata ancora “grezza” in sacchi da 20 chili ciascuno.

Nel gennaio 2020, Romeo mediava con un certo “GT” per l’acquisto di 300 chili di cocaina che sarebbe dovuta partire dal porto di Callao, in Perù, e giungere in Belgio, essendo destinata a un gruppo serbo. Romeo, a riprova della sua “serietà”, aveva inviato in Belgio un suo cugino, che sarebbe rimasto con gli acquirenti fino al buon esito della compravendita,  ma pretendeva lo stesso atteggiamento dai brasiliani ai quali aveva pagato 450mila dollari per far uscire la droga dal porto. Quindi voleva che fosse in Belgio anche il cugino di un certo “Super” per trattenerlo fino a quando la droga non sarebbe entrata in acque internazionali. La droga, intanto, era stata sequestrata in porto e Romeo, pensando di essere stato truffato dai brasiliani, chiedeva gli venissero restituiti i soldi e chiedeva, anche, la testa dei responsabili.

«Y kiero cabeza del muchacho tuyo». Già, perché «ho il mio sangue in mano a quei serbi, mi tocca ammazzarmi con questa gente, chiama i tuoi uomini e raccogli quei soldi per l’amore del cielo». E ancora: «Tira fuori i soldi, pensi che finisce così? Tira fuori i soldi se vuoi salvare la vita e la guerra… qualcuno deve morire, o quello dello scanner o il ragazzo di Super». Da stralci di conversazioni pescate nelle chat dagli inquirenti vengono fuori dichiarazioni di guerra vere e proprie tra le due organizzazioni. Ma sarebbe comprovato anche il sequestro di una persona accompagnato da minacce, con tanto di foto, a chi gli aveva garantito la fornitura del carico di cocaina. Dai messaggi dei narcos sudamericani viene fuori anche che erano in grado di duplicare i sigilli portuali e che corrompevano doganieri che erano nel loro libro paga.

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