Una piantagione di marijuana (foto d'archivio)
2 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Spaccio di droga tra Gioia Tauro e Livorno, effettuato anche in pieno giorno e pure in zone frequentate da bambini. È quanto emerso dall’inchiesta “Rail Verde” condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria con il coordinamento della Procura di Palmi. Il gip ha emesso 16 misure cautelari: 12 agli arresti e 4 con divieto di dimora nel comune di residenza.
Produzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, combustione illecita di rifiuti pericolosi, resistenza a pubblico ufficiale, evasione e furto sono i reati contestati. Il blitz è scattato all’alba nella Piana di Gioia Tauro, dove è stata individuata una vasta piantagione di marijuana situata su un terreno demaniale. Gli arresti sono stati eseguiti anche a Livorno e Olbia.
I soggetti colpiti dalla misura sono dieci italiani, residenti a Gioia Tauro, Rosarno e Palmi, un liberiano, un senegalese e quattro ghanesi, di cui uno risulta tuttora percettore di reddito di cittadinanza, beneficio che verrà immediatamente sospeso.
L’indagine è partita giugno 2021 quando un elicottero della Sezione aerea di Lamezia Terme delle fiamme gialle ha individuato la vasta piantagione nei pressi del termovalorizzatore di Gioia Tauro: 1.219 piante di cannabis e 14 kg di infiorescenze per un totale di 795,95 chili di marijuana.
Le indagini hanno consentito di ricostruire come la piantagione fosse irrigata tramite un sofisticato sistema “a goccia” costantemente vigilato dagli indagati. Uno di questi si sarebbe recato giornalmente sul posto evadendo dagli arresti domiciliari disposti nell’ambito di altro procedimento penale.
Quando la piantagione è stata sequestrata, alcuni indagati hanno tentato di dileguarsi tra i campi mentre altri si sono dati ad una spericolata fuga a bordo di un mezzo inseguito dalle auto della Guardia di finanza e provocando un incidente.
Altri, invece, hanno provato a distruggere le piantine dando fuoco alla piantagione e costringendo i finanzieri a mettere in sicurezza dall’incendio il terreno. Le indagini hanno consentito, infine, di individuare il luogo di deposito, di lavorazione ed essiccazione dello stupefacente dal quale gli indagati scambiavano foto, anche selfie, via WhatsApp.
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