Il boss Rocco Morabito, detto Tamunga
3 minuti per la letturaSEMBRA la versione moderna dei tradizionali narcocorridos, le musiche popolari messicane che raccontano, a volte celebrandole, le gesta dei narcos. Un genere amato nel Messico del Nord fino alla Colombia.
Da qualche giorno gira su tutte le piattaforme digitali ed è disponibile su Spotify, uno dei servizi di streaming musicale on-demand, su richiesta, più conosciuti, che conta più di 75 milioni di utenti in tutto il mondo, il nuovo singolo dei Neo13 dal titolo molto significativo.
Si chiama “Rocco Morabito”, proprio così, il brano urlato Neo13, il gruppo musicale torinese formato dalle voci di Slumpthinidle & Reakira e dalle produzioni di Karasho, nato nel 2017. Una “dedica”, quella del collettivo torinese ad uno dei più temuti narcotrafficanti della ‘ndrangheta, ora in carcere.
Rocco Morabito l’ultima volta è stato arrestato in Brasile. Il 55enne originario di Africo si trovava in una lussuosa abitazione della cittadina brasiliana dove aveva trovato riparo dopo la sua clamorosa fuga dal carcere uruguaiano di Montevideo avvenuta nel 2019, dove si trovata dal 2017, quando fu arrestato dai Carabinieri e dalla polizia uruguaiana a Punta dell’Este. Sulle spalle il boss della ‘ndrangheta, uno tra i più potenti narcotrafficanti, pendevano 23 anni di latitanza e 30 anni di carcere da scontare. Morabito, nonostante la latitanza, continuava a governare il traffico di stupefacenti per conto della ‘ndrangheta.
Morabito “U Tamunga”, re della cocaina, non è più un fantasma. Il suo nome, le sue azioni criminali, per lo più legate al narcotraffico di cocaina, riemergono dalla musica rabbiosa e disperata dei tre giovanotti piemontesi, sporcando il suono e sperando con “Rocco Morabito” di preparare il terreno per il loro primo album ufficiale. La prima recensione per il singolo dei Neo13 non è certo benevola. “Una produzione cupa, barre crude, scream e autotune che si alternano in un mix d’immagini violente, a tratti esasperate, che mescolano riferimenti street, tipici del rap, ad elementi esoterici e mistici”.
Emerge immediatamente dalla cover del brano, sfondo prevalentemente nero con immagini dorate che ritraggono teschi, code di angeli e fiamme. Lugubre e asfissiante. Dentro il brano, per quasi tre minuti, parole che sembrano sconclusionate, ma che sintetizzano in modo non equivoco la figura del boss della ‘ndrangheta, “violento e spietato, ma fortemente legato alla religione e a tutte le sue icone”. “Mondo di plastica, io prendo distanza da questa realtà in cui abito/ Rocco Morabito, controllo il traffico in gabbie di oro colato /Nuovi gioielli al polso Morellato non colmano il vuoto lasciato”.
I Neo13, si dicono, lontani dai clan ‘ndrangheta. E spiegano: “Dalla nostra piccola ricerca, il mondo di Morabito combina una violenza immane ai simboli religiosi. Un paradosso comune alla nostra musica che si presenta in modo aggressivo evocando anche una certa religiosità”. Ma già con la semplice citazione del boss di Africo, addirittura con la titolazione di un brano musicale, c’è il rischio che il potere della criminalità organizzata, già in sé assai pericoloso, diventa qualcosa di molto peggio, diventa un simbolo.
Il crimine organizzato strumentalizza spesso alcune forme espressive e di comunicazione per mitizzare i suoi capi e per esaltarne le gesta. Non mancano gli esempi di “canzoni di mafia”. L’ultimo, in ordine di tempo, quello della folk singer Teresa Merante.
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