Il "Vesper" a Reggio Calabria
3 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Gli abusi e le minacce dei rampolli della cosca di ‘ndrangheta dei Tegano di Archi e la forza di un imprenditore che si ribella al giogo mafioso. È la storia di Gianfranco Laganà, titolare del “Vesper”, un locale di Reggio Calabria. Dalla sua denuncia è nata l’inchiesta che ha portato oggi all’avviso di conclusione indagini – notificato dal pm antimafia Sara Amerio – nei confronti di sette persone .
«Muoviti, che quando veniamo noi devi preparaci da bere e stare zitto», «Secondo me sei un pazzo a chiedermi lo scontrino». Sarebbero le frasi con cui i “teganini” si sarebbero rivolti all’imprenditore. Nel settembre 2018, con toni e minacce simili, avevano preso di mira anche due poliziotti, “colpevoli” a loro avviso di aver chiesto loro di identificarsi: «Vi pisciamo addosso… voi non sapete cu su i cristiani… ma chi c… siete» e ancora «Mi ricordo di te, tanto ci dobbiamo rivedere».
Sotto la lente del pm antimafia Sara Amerio sono finiti, tra gli altri, Domenico Tegano, di 29 anni, attualmente detenuto nel carcere di Ancona e figlio del boss Pasquale Tegano. Gli altri indagati sono Angelo Tegano, Antonio Cangemi, Antonio Domenico Costante Drommi, Domenico Monorchio, Manuel Monorchio e Davide Vizzari. Sono accusati, a vario titolo, di estorsione, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento. A tutti è stato contestata l’aggravante delle modalità mafiose.
Nell’inchiesta della procura diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri sarebbe indagato (pur non avendo ricevuto l’odierno avviso di garanzia) anche l’imprenditore Carmelo Crucitti, titolare di alcuni esercizi commerciali presi di mira nel 2017. L’accusa nei suoi confronti sarebbe di false informazioni al pm e favoreggiamento personale, aggravati dalle finalità di agevolazione mafiosa.
A verbale Crucitti aveva dichiarato di non conoscere i “teganini” e di non sapere «nemmeno se siano reggini», ma fuori dalla sala interrogatori l’imprenditore aveva detto a un funzionario della questura: «Con le domande che mi state facendo, volete mettermi un cappio al collo. Io sono dalla parte dello Stato. Tra il rischio di perdere il lavoro e tutelare la mia famiglia, preferisco tutelare i miei figli. Io non posso mettere la firma sotto quei nomi. Quelli che mi avete fatto vedere li conosco tutti perché sono anni che li vedo in giro per i locali, fanno gli sbruffoni, chiedono cocktail, si comportano come se volessero affermare il loro potere. Ma perché devo dire che sono stati loro?».
Il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, ha espresso solidarietà al titolare del Vesper: «Oggi dobbiamo essere tutti al fianco di Gianfranco Laganà. Il gesto del titolare del Vesper deve farci sentire orgogliosi come reggini e come uomini che amano la terra in cui sono nati. L’intera comunità reggina adesso lo affianchi, chi ha il coraggio di denunciare un tentativo estorsivo non deve assolutamente essere lasciato solo. Se è vero che le mafie si sconfiggono con l’impegno delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della magistratura, è altrettanto vero che soltanto una presa di coscienza civile collettiva può debellare per sempre un fenomeno criminale che, da secoli, relega la nostra realtà in un’arretratezza impossibile da continuare a sopportare».
«Oggi – ha continuato il sindaco – dobbiamo rendere omaggio a Gianfranco che ci ha profuso una grandissima lezione che è quella, cioè, che se stiamo insieme Reggio ce la può fare. Non piegarsi alla mafia è un esercizio di libertà, una battaglia che dobbiamo sentire nel profondo del nostro intimo agendo nella società per un futuro fatto di lavoro, sicurezza e prosperità. Lo dobbiamo, prima di tutto, ai nostri figli. Quello di Gianfranco, quindi, è un esempio da seguire perché denunciare la ‘ndrangheta è la via maestra per spazzare via ogni anelito di oppressione mafiosa».
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