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Rischio super multe per gli amministratori e raffica di procedimenti contabili indirizzati anche ai sindaci dei piccoli Comuni in Calabria


Ha ancora senso, nel nostro Paese, candidarsi a fare il sindaco di un comune medio o piccolo? Prendete la persona più pulita e in buonafede che conoscete e immaginatevela alle prese con i problemi di un’amministrazione comunale (viabilità, trasporti, acqua, luce, spazzatura, assistenza sociale, ricovero dei migranti, asili nido ecc.). Avrà poche risorse a disposizione, una marea di leggi e leggine da rispettare, una probabilità molto bassa di risolvere i problemi e una probabilità molto alta di commettere qualche reato praticamente senza nemmeno accorgersene. Se anche non commetterà reati, potrebbe trovarsi, come è accaduto in questi giorni a Cosenza (l’ex primo cittadino Mario Occhiuto)  e a Castrovillari (l’attuale sindaco, Mimmo Lo Polito) indagato o condannato dalla Corte dei Conti a pene pecuniarie più o meno salate e a lunghe interdizioni dalla possibilità di candidarsi.

SUPER MULTE PER I SINDACI DI COMUNI COME RIACE E ACQUAFORMOSA

E altri sindaci (da Riace a Caulonia ad Acquaformosa), in questi stessi giorni, sono stati condannati a risarcire  cifre enormi (oltre 5 milioni) che, probabilmente, non riuscirebbero a mettere insieme neppure lavorando tutta la vita. Avrebbero causato rilevanti “danni erariali” per “aver creato un sistema teso a favorire l’indebita percezione dei contributi pubblici concessi per assicurare un ricovero ai soggetti migranti dal Nord Africa”. Bene, direte, chissà quanti soldi si sono messi in tasca o hanno fatto intascare ai loro amici. Non sembra sia così: Ilario Ammendolia, Mimmo Lucano, Francesco Cagliuso e Giovanni Manoccio (i sindaci condannati) non hanno commesso reati, non si sono arricchiti ma hanno, al massimo, sbagliato.
Non si può negare che la Corte dei Conti si limita ad applicare le leggi in materia di pubblica amministrazione e il suo compito (di rilievo costituzionale) è quello previsto dall’art. 100 della Carta fondamentale ossia, in questi casi, il “controllo successivo sulla gestione delle amministrazioni pubbliche e il controllo economico finanziario”. Insomma, la Corte dei Conti deve controllare che gli amministratori pubblici abbiano usato correttamente le risorse economiche a loro disposizione per guidare i loro comuni. Ma ci viene da farci qualche domanda sulla congruità delle condanne pecuniarie e sulla congruità delle norme che stanno all’origine di queste condanne.

L’AMMONTARE ESAGERATO CHIESTO DALLA CORTE DEI CONTI

Sulla questione dei migranti, non vogliamo entrare nel merito, ma colpisce l’ammontare esagerato delle cifre che la Corte chiede agli amministratori di restituire. A parte l’impossibilità di farlo, ci chiediamo se davvero lo Stato è stato defraudato di oltre 5 milioni di euro nel tentativo di dare ospitalità e cibo a della povera gente che veniva dall’altra parte del mare e da tanta disperazione. E ci sarebbe anche da ricordare che, almeno nel caso di Mimmo Lucano, sul lato penale ci fu una condanna a 13 anni e mezzo poi ridotta in Appello a 1 anno e sei mesi. E ti viene da chiederti se non ci sia il vezzo di spararla grossa al primo impatto per fare rumore. Molti infatti, ti fanno notare che, in secondo grado, anche le cifre saranno ridotte. Ma, allora, a che serve?

COSENZA E CASTROVILLARI, LE RESPONSABILITÀ PARTONO DA LONTANO

Ma torniamo a Castrovillari e a Cosenza. Entrambi i sindaci, a un certo punto, hanno dovuto fare i conti con una situazione finanziaria dei rispettivi comuni che sfiorava la bancarotta. Hanno buttato via soldi pubblici o se li sono intascati? Non sembra. La strada verso il dissesto parte da lontano e dai buchi finanziari creati da amministrazioni precedenti le quali, a loro volta, non risulta abbiano rubato. Il fatto è che, una volta, i Comuni potevano spendere per i servizi ai cittadini quello che serviva e lo Stato ripianava praticamente a pie’ di lista.

Dalla fine del secolo scorso (e probabilmente era in parte giusto intervenire) non è più così: i bilanci dei comuni devono chiudersi in pareggio, altrimenti prima o poi arriva inevitabile il dissesto. Col dissesto è come se i debiti finissero in una sorta di “bad company” di cui si occupano dei commissari liquidatori; l’amministrazione resta in carica e va avanti ma, ovviamente, si trova condizionata da una serie di vincoli. E’ la situazione attuale di Cosenza dove il sindaco Franz Caruso lavora come un matto per uscire dal dissesto (iniziato nel 2019) e riuscire, nel frattempo, a dare servizi decenti o buoni ai cittadini.

COSENZA ERA GIÀ SULL’ORLO DEL DISSESTO NEL 2012

Quando era sindaco Mario Occhiuto, nel 2012, Cosenza era sull’orlo del dissesto. Le responsabilità? Una catena che riguardava molti sindaci prima di lui. Caderci dentro? O fare il possibile per uscirne? L’amministrazione scelse la seconda strada presentando un piano di lacrime e sangue che avrebbe potuto portare alla salvezza. Secondo la Corte dei Conti il sindaco Occhiuto, colpevolmente (non dolosamente), non è riuscito nell’impresa e, per questo va multato e condannato all’interdizione dalle cariche amministrative. Anche lì: ha rubato? Distorto fondi? Regalato soldi agli amici? Non sembra e, comunque, non è di questo che si parla.

Semplicemente non ha rispettato le previsioni. Perché? Perché magari i cittadini hanno evaso qualche tassa oltre il previsto? Perché Imu, Tari, bollette dell’acqua e altre tariffe hanno dato gettiti inferiori alle attese. Tutte cose che succedono e che potevano anche essere prevedibili. Quindi, diciamo che Occhiuto  ci ha provato e non ci è riuscito. E quello che succede agli esseri umani e ancora di più agli amministratori. Normalmente, ci sono le elezioni per dare un giudizio su come un sindaco ha amministrato bene o male la sua città. Ecco, ci sembra che con queste condanne, la giustizia contabile finisca per sostituirsi al voto dei cittadini. Ci chiediamo, sommessamente, se è giusto.

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