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L'esito del referendum nei titoli dei giornali dell'epoca

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CATANZARO – La Repubblica e la Calabria. Un rapporto difficile “ab origine” giacché il 2 giugno 1946, anno nel quale si votò contemporaneamente per il referendum per scegliere tra Monarchia e Repubblica e per l’elezione della Assemblea Costituente (la carta costituzionale sarebbe stata approvata il 22/12/1947), in Calabria prevalse la Monarchia con 505.415 voti contro i 332.404 voti della Repubblica.

In seguito, Benedetto Croce ed Eugenio Scalfari, due liberali doc, avrebbero spiegato che il loro voto per la Monarchia era per limitare il potere della Chiesa. Un anticlericalismo ragionato. Comunque il risultato finale del referendum fu contestatissimo, tanto da impegnare ancora oggi gli storici.

Esso, globalmente, arrise al sistema repubblicano con un 54,26 % contro un 45,74 %, proclamato il 18 dello stesso mese dalla Cassazione. Mentre nel Centro-Nord si affermò la Repubblica con qualche sorpresa (vedi il Piemonte di tradizione Sabauda), tutto il Mezzogiorno votò compattamente per Casa Savoia con percentuali e forbici veramente alte.

Si pensi ai due estremi: tra i capoluoghi di provincia la più repubblicana fu Ravenna col 91,2% mentre la più monarchica fu Messina con l’85,4%. Una spaccatura tra le due Italie che perdura ancora. Che Leonardo Sciascia avrebbe poi definito la “linea delle palme”.

La Calabria fu sì monarchica (60,39% vs 39,67%) ma meno della Campania (76,47% vs 23,53%), della Puglia (67,22% vs 32,78%), della Sicilia (64,67% vs 35,33%), della Sardegna (60,76% vs 39,24%). Solo la Lucania fece meglio (o peggio a secondo i punti di vista) con 59,51% vs 40,49%.

Come si spiega il contenimento dell’avanzata monarchica nel territorio calabrese? Ciò fu dovuto, in gran parte, al voto dei centri del Marchesato e della Sila, dove c’erano state le prime lotte contadine nelle quali sorse, in nuce, un’idea rivoluzionaria prodromica di un antagonismo classista nei confronti dell’allora latifondo.

Le città più rosse, ovvero in cui prevalse la Repubblica, furono Crotone (55,22% vs 45,01%), Cirò (51,58% vs 44,35%), San Giovanni in Fiore (68,04% vs 28,42%), Acri (54,43% vs 36,86%). Ma il contributo determinante per la vittoria repubblicana venne dai 27 comuni di lingua arbëreshe sparsi nelle province di Cosenza, Crotone e Catanzaro che prevalentemente optarono per girare pagina nella storia italiana che si era lasciata alle spalle il ventennio fascista coperto dalla casa regnante.

Questo il voto complessivo dei paesi albofoni: 17.417 voti andarono alla Repubblica e 14.798 voti si diressero verso la Monarchia. In particolare a Lungro la Repubblica ebbe il 73,74% e a San Demetrio Corone il 63,25%, mentre a Cervicati, Firmo, Mongrassano, Plataci, San Basile, San Martino di Finita e Spezzano Albanese vinsero i monarchici sul filo di lana.

Nei tre capoluoghi di provincia prevalse l’orientamento della permanenza del Re in questi termini: Catanzaro 63,97% vs 30,69%, Reggio Calabria 65,18% vs 30,72%, Cosenza 60,09% vs 35,44%. In altri importanti centri Casa Savoia ebbe questi risultati: Vibo Valentia 75,69%, Nicastro 51,93%, Castrovillari 52,06%, Corigliano 48,74%, Palmi 58,51%, Paola 52,35%, Pizzo 75,21%, Rossano 55,73%, Serra San Bruno 50,03%, Soverato 57,75%, Tropea 86,59%.

Singolare fu la situazione nella quale vennero a trovarsi comuni limitrofi che votarono all’opposto. A Locri prevalse la Monarchia col 63,89% mentre la vicinissima Siderno – li divide il fiume Novito – vinse la Repubblica col 56,84%. Oppure Borgia dove la Repubblica ottenne il 54,57% mentre nella vicina Girifalco prevalse la Monarchia col 59,70%. I deputati eletti nell’Assemblea Costituente furono 556 di cui 21 calabresi, quasi tutti provenienti dall’avvocatura, ossia dai luoghi della mediazione tra diritto e bisogno.

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