Luigi De Magistris
16 minuti per la letturaQuello che ci ha colpito di più della sua candidatura è che De Magistris è un personaggio divisivo. Odiato o amato. Tra le motivazioni del mancato sostegno c’è la non calabresità. Che effetto le fa?
«Intanto condivido l’idea che questo è un referendum, tra conservazione e cambiamento. Questa cosa dello straniero, usata dagli avversari per ferirmi, è stata l’occasione per ribadire la mia scelta d’amore per la Calabria. Io ho da sempre un legame intimo con la Calabria, sin da bambino. Ho avuto sempre due case, Napoli e la Calabria. Le trecentomila firme nel 2007 contro il mio trasferimento hanno avuto un peso nella scelta, nella voglia di contribuire al riscatto per questa terra. Ho pagato un prezzo altissimo per la mia esperienza in Calabria, avrei dovuto forse cancellarla dal panorama delle futuribili esperienze. Poi ho pensato a quello che diceva don Peppino Diana “per amore della mia terra”. Ecco, io la Calabria la considero la mia terra e questa è stata una scelta d’amore».
Lei definisce la sua coalizione civica, ma la sinistra è componente importante. Quello che ci ha colpiti durante la fase pre-elettorale è che non avete nemmeno tentato un dialogo. Non ricordiamo di tavoli o incontri. Non è che volesse candidarsi a tutti i costi?
«Sono convintamente sostenitore fin dall’inizio del fatto che noi siamo un polo civico-popolare alternativo ai due blocchi. È l’impostazione che mi sono dato in questa campagna elettorale, come già fatto nell’esperienza napoletana. Non c’è dubbio però che il suo ragionamento vada ribaltato perché i contatti ci sono stati all’inizio e credo che la mia disponibilità a candidarmi doveva essere colta da quel mondo del nuovo centrosinistra fatto da Pd e Cinque Stelle che da tempo, con i loro vertici, declamano di non essere più autosufficienti come partiti e volersi aprire alla società civile, ai sindaci, ai movimenti, alle associazioni. Quale occasione più ghiotta allora di quella di Luigi De Magistris che non è neanche un neofita della politica. Due anni parlamentare europeo, dieci anni sindaco, persona amata e conosciuta in questa terra. Invece loro hanno cercato di farmi fare un passo indietro. Questa è la dimostrazione che non vogliono il cambiamento. E questa campagna elettorale me lo ha confermato.
I nostri avversari hanno tutti un unico mantra “purché non vinca De Magistris”. In tutta questa campagna elettorale è difficile trovare uno scontro Occhiuto-Bruni.
Il tema è attacchiamo De Magistris. Quindi io sono ancora più convinto che l’intuizione era giusta, visto l’andamento della campagna elettorale. La valutazione che faccio della politica regionale degli ultimi venti, trent’anni è molto negativa. C’è una responsabilità schiacciante anche del centrosinistra. È talmente vero che anche Bruni dice che sia centrodestra che centrosinistra hanno fallito. La domanda vera, quindi, è perché Bruni non sta con noi, se davvero è un’esponente della società civile, per il cambiamento. Quando mi hanno chiesto incontri, io ho sempre partecipato per spiegare il mio progetto. Lo stesso Conte, visto che sta rifondando il partito e dice che vuole tornare alle origini, quale migliore occasione per rinnovare della mia candidatura? Invece viene qua e abbraccia chi è responsabile del vecchio. La nostra posizione è stata coerente. Talmente coerente che lo stesso Tansi è andato in default politico. Più volte ci ha accusato di voler andare con Oliverio, di voler andare con il Pd. E invece c’è andato lui».
Lei è stato per dieci anni sindaco di Napoli. Anche in Campania la sanità è stata commissariata. Vede analogie tra come sono andate le cose nelle due regioni? Com’è uscita la Campania dal commissariamento?
«È difficile fare paragoni, ma attenzione perché la devastazione della sanità pubblica c’è stata anche in Campania. Credo che poi lì si sia trovato un accordo politico tra Regione e Governo che ha portato alla fine del commissariamento. La Calabria vive uno scandalo senza fine, perché di fatto è commissariato quasi tutto da quindici anni. Si pagano le tariffe più alte, si hanno i servizi meno adeguati, producendo una fuga di denaro di 300 milioni circa l’anno. In dieci anni sono quasi 4 miliardi, il 75% del bilancio regionale. Quelle che erano le conquiste della fine degli anni ’70 in tema di sanità territoriale – i distretti, gli ambulatori, i consultori – sono state smantellate. Per non parlare delle politiche sociali da vent’anni al palo.
Non so con che coraggio i miei avversari politici continuano a parlare di sanità pubblica e fine del commissariamento.
Il commissariamento lo hanno voluto loro e i loro partiti, lo hanno difeso, finanche Conte che ci ha messo un generale dei Carabinieri che alla fine non si ricordava neanche più che ruolo aveva. Ora lasciano lo stesso Longo senza strumenti. Sembra il gioco delle tre carte. È responsabilità di tutti, non è responsabilità di nessuno. Noi abbiamo le carte in regola, un minuto dopo, a ricostruire tutta la filiera della sanità pubblica e chiedere la fine del commissariamento. E qui ho l’esperienza di anni per aver combattuto su questo tema, pretendere lo stralcio del debito, perché il debito non lo hanno contratto i calabresi, che sono vittime. Se c’è qualcuno che ha sbagliato paghi, ma lo Stato deve mettere la Calabria, soprattutto quando va a vincere una forza estranea a questo disastro, in condizione di rimettere in piedi quello che è il diritto costituzionale più violato in questa terra, quello alla salute. L’ultimo è il caso di Rossano, scandaloso. Sapete qual è il dramma? Che la gente ormai è convinta che si tratti di casi ordinari e che alla fine la morte, anche dopo un’ora e mezza, due ore dal soccorso, diventa una morte naturale per arresto cardiocircolatorio. Se uno Stato, indipendentemente dalle articolazioni, non è in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla cura, ci troviamo di fronte a degli omicidi. Non sono morti naturali, se non garantisci l’assistenza alle persone, tra strade fatiscenti, pronto soccorso che non ci sono, ambulanze senza medici non puoi addebitare la morte a un generico cattivo funzionamento della sanità».
L’ultimo verbale del tavolo Adduce dice che non è possibile chiedere lo stralcio del debito se non viene quantificato il debito. Una delle cose che ci è stata detta più volte dal manager di Reggio è che hanno problemi a quantificare il debito soprattutto perché non ci si fida delle persone che sono dentro le aziende e chiedono costantemente persone esterne e aiuti dallo Stato. Continuano a ripeterci che dobbiamo quantificare il debito, ma chi sta lì non sa come farlo. Il ruolo del prossimo presidente è importante da questo punto di vista. Che si deve fare? È possibile svuotare queste aziende? Trovare una strategia diversa?
«Nella domanda c’è già la risposta. Non potremo mai sanare, se affidiamo la cura a chi ci ha portato fin qui. Non finirà mai. La politica e le istituzioni mi hanno insegnato che il mandato popolare è molto forte. Se arriva il mandato del cambiamento e chi governa si assume la responsabilità con autorevolezza e capacità di dirigere e coordinare la sanità, mettere un assessore competente, siamo in condizione di sederci a quel tavolo, indicare la strada e insieme al Governo individuare la soluzione. Altrimenti non ci saranno mai bilanci che verranno messi a posto. Ci sono dirigenti che stanno lì da 30, quarant’anni».
È sconcertante però che neanche lo Stato riesca a quantificare questo debito. Abbiamo avuto anche aziende guidate da commissari prefettizi…
«È il gioco delle 3 carte. La Regione può dire “non mi addossate troppe responsabilità, siamo commissariati”, però intanto continua a mettere mano con le nomine. Il governo dice “la mia parte l’ho fatta”. Parli con il commissario, che è anche una persona autorevole e perbene come Longo, con una lunga storia professionale alle spalle come poliziotto, e ti dice “dottore De Magistris, io qui non ho nulla”. Gli chiedi “perché rimani?”, ti risponde “perché sono un uomo delle istituzioni”. Ma proprio perché sei un uomo delle istituzioni o alzi il tiro e chiedi di essere messo in condizione di lavorare oppure fai la foglia di fico. E i cittadini continuano a pagare tasse alte per avere servizi che non migliorano. Ricordiamo che il commissariamento non serviva solo a tagliare i costi, ma anche a garantire i servizi. Nasce per risolvere anche intoppi burocratici. Qui invece è sembrato che il commissariamento sia diventato una sorta di Moloch che blocca tutto. Ci vuole l’autorevolezza della politica».
Lei diceva Longo è un bravo poliziotto. Siamo sicuri che come prima caratteristica per ristrutturare la sanità serva la polizia e non efficienza e capacità?
«Serve tutto. Io sono da trent’anni nelle istituzioni. Credo che ci voglia innanzitutto l’onestà, l’incorruttibilità. Devi essere libero. Se non lo sei, appena entri subisci il condizionamento. Il segretario di partito, la corrente, quello che ti ha finanziato la campagna elettorale, magari in alcuni casi anche qualche altro tipo di collegamento che nella sanità è molto forte. E ci ritroviamo bloccati. Devi avere la competenza e qua io posso utilizzare un’esperienza di magistratura importante e anche di sindaco. Conosco le macchine amministrative, le burocrazie, i tranelli, ma anche la capacità del cambiamento possibile. Serve il coraggio, perché la sanità, come i rifiuti e altri settori, sono occupati dal controllo del consenso e dei bisogni. Serve poi l’impegno, lavorare tutto il giorno, e fare squadra, motivare le persone. Con Longo nel 2000 arrestammo il boss Angelo Nuvoletta. Lui è un poliziotto bravissimo, ma se vieni lasciato solo…».
La sanità è il tema più sentito dai cittadini. Quello delle aziende è la burocrazia. Lei su questo come interverrebbe?
«Anche qui è importante l’esperienza di chi ha conosciuto la patologia del sistema regionale. Ma io aggiungo anche l’esperienza di governare la più grande azienda pubblica del centro sud che è Napoli, città metropolitana. Nella burocrazia tu hai il pigro, quello che non vuole cambiare, il connivente, ma hai anche tanta gente preparata, magari messa nell’angolo perché non è vicina al politico di turno. Qui farò quello che so fare: il cacciatore di talenti interni, il coach, il motivatore. Ma poi abbiamo anche l’opportunità di fare finalmente dei concorsi. Non faremo come certa politica che si divide le quote. Noi dovremo assumere persone competenti, libere e oneste. E io mi auguro molto giovani. Lo farò anche nella Giunta. La svolta, l’ho visto anche a Napoli, è stata con l’assunzione di diversi dirigenti, in ruoli chiave che mancavano, tra i 35 e i 40 anni».
Ci sarà, nei concorsi, anche una quota per il precariato, altra piaga calabrese?
«Sono due cose a parte. Una cosa è il concorso pubblico, secondo i crismi della Costituzione. Poi porrò fine al precariato infinito, che anche nel linguaggio è imbarazzante. Si parla di tirocinanti, ma quelli non sono tirocinanti. Sono lavoratori che da anni, con diritti negati, reggono interi uffici pubblici. A Napoli ho stabilizzato tutti i precari. Dobbiamo tornare a un pubblico che non sia percepito come un carrozzone. Si può fare, lo dico con l’orgoglio di chi ha amministrato una città che era piena di debiti, senza aiuti, e chiudo il mandato avendo fatto l’acqua pubblica, l’unica città d’Italia che ha un’azienda speciale tutta pubblica, non abbiamo privatizzato nessun servizio di rilevanza costituzionale».
Lei ha citato più volte l’esperienza da sindaco. Le chiediamo cosa porterà nel concreto con sé nella sfida della Regione Calabria e cosa risponde ai suoi avversari, a partire dal Pd, che l’attaccano usando Napoli. Boccia di recente ha detto ‘conosciamo i disastri di De Magistris, non possiamo consentire che la Calabria si trasformi in quella che purtroppo è stata Napoli negli ultimi dieci anni.
«A me fanno un favore quando mi pungono su Napoli. Napoli come tutte le grandi città del mondo non è esente da problemi, certo. Ma, giusto per dare qualche titolo di coda, io Napoli la eredito dal Pd che aveva governato 15 anni. La città che hanno lasciato aveva i rifiuti per strada che arrivavano al primo piano dei palazzi, 3 miliardi e mezzo di debito, non c’era un turista, uno scandalo dietro l’altro. La lascio, tra le varie cose, con un debito molto minore di circa un miliardo, che avrei azzerato se i vari governi non avessero fatto leggi strozzacomuni. È il primo set cinematografico all’aperto d’Italia, prima città per crescita turistico-culturale, non più rifiuti che arrivano al primo piano, ma persone tant’è vero che dobbiamo fare il senso unico pedonale in alcune zone del centro storico, tra le mete più cliccate per eventi, nessuno scandalo in dieci anni. Che Boccia dica queste cose, pur sapendo di mentire, è incredibile. Porto quindi anche l’esperienza di come si può governare la terza città d’Italia con una forza autonoma e popolare. A Napoli tutti i partiti sono all’opposizione, la maggioranza è fatta da gente che era stanca di delegare. Mi dicono che è populismo. Se per loro è populismo stare tra la gente, con i cittadini, metterci la faccia, portare 6 giovani su 12 in giunta. È stata una rivoluzione, comunque la si voglia pensare».
La vicenda di Napoli può aver influenzato la partita calabrese, da un punto di vista politico?
«Ci sono forse rancori e risentimenti di pezzi regionali del Pd. Penso anche a un’esperienza ingombrante di De Luca e del commissario Graziano. Non so però se le vicende napoletane hanno influito sulla vicenda calabrese. La nostra esperienza napoletana come rivoluzione di Luigi De Magistris ha avuto un ciclo, ora si porta quell’esperienza con alcune analogie. Napoli pure era depressa demotivata. Mi dicevano che ero folle, i sondaggi mi mettevano tra ‘gli altri’. Il nostro voto non è tracciabile, perché non stiamo nei blocchi. Il nostro è un modo di fare politica diverso, qualcosa che è simile al Meetup delle origini, con la differenza che loro al governo hanno tradito quelle aspettative. Io sono rimasto coerente, credibile, umile, sono rimasto tra la gente, anche in questa campagna elettorale sono andato nei posti in cui nessuno va. Ricordo, tra le tante tappe, quella di Melissa, dove sono stato ad ascoltare le vecchiette che con 47 gradi lamentavano l’assenza da tre giorni dell’acqua corrente in casa. Questo è il mio modo di fare politica che loro non fanno più e oggi chiamano populista. Non le dico io alcune cose, le dicono Zingretti e Irto. Il primo ha lasciato il Pd dicendo che il suo partito pensava più alle poltrone che agli interessi nazionali, Irto dice che il Pd in Calabria è il partito dei feudi e feudatari. Poi si candida non ho capito se come feudatario o altro»
Oggi arriverà la sentenza che riguarda Mimmo Lucano (la sentenza è arrivata in tarda mattinata dopo il forum, ndr) E’ preoccupato?
«Per me Lucano è e resta un uomo giusto al di là della sentenza. Potrà pure aver violato qualche norma amministrativa, ma per me è antitesi del crimine. È esempio di come si possa trasformare un borgo. Ho visto Riace nel pre Lucano, con Lucano e il post Lucano. Il pre Lucano era un borgo desertificato. Con Lucano era la gioia. Oggi è di nuovo ripiegato. Per questo non bisogna strumentalizzare. Io credo che la magistratura è autonoma e indipendente. A volte fa bene a volte fa male. In Calabria abbiamo avuto storie opache, come storie straordinarie. Sono convinto che alla fine del calvario Lucano sarà assolto. Lo considero testimone vivente della fratellanza universale. Non ci sarà nessuna sentenza che potrà cambiare il mio giudizio su Lucano».
Le chiediamo un commento sul rapporto magistratura-politica in Calabria.
«È un tema delicato, a livello nazionale. La magistratura sta vivendo da anni il suo momento più difficile, dal punto di vista etico. La vicenda Palamara è la punta di un iceberg. La Calabria è tra le regioni con il più basso numero di condanne definitive per corruzione, concussione, traffico di influenze illecite, reati contro la Pa. Una riflessione va fatta. Nella mia vicenda fu chiara la scelta del Csm di mandare via un magistrato integerrimo, addirittura ‘incompatibile con l’ambiente’. Oggi vedo che in Calabria ci sono dei procedimenti penali importanti, che sono abituato a rispettare. Perché deve esserci autonomia e rispetto reciproco tra politica e magistratura. Vorrei contribuire a un Paese in cui i processi sono più rapidi, si va in galera solo alla fine della sentenza definitiva, in cui la custodia cautelare non è uno strumento di anticipazione della pena, in cui c’è un maggiore equilibrio tra accusa e difesa, perché oggi la notizia di un’informazione di garanzia produce una anticipazione di colpevolezza che diventa difficile poi risarcire. Io sarò un presidente molto schierato nella lotta alla ‘ndrangheta, alla borghesia mafiosa, a ogni forma di commistione nella Pubblica amministrazione. Sarò vicino alle forze dell’ordine, ai prefetti, alla magistratura, alle forze produttive, ma sempre con la mia autonomia. Non ci sono intoccabili nel diritto di critica, la penso come Pasolini “Io so quindi ho il dovere di parlare”».
In questa campagna elettorale ha girato moltissimo. Cosa le hanno chiesto di più i calabresi?
«La garanzia dei diritti primari. Acqua, sanità, infrastrutture e mobilità, depuratori, rifiuti, il diritto al lavoro e all’istruzione. Anche altri diritti che sarebbero primari passano in secondo piano. Non ti chiedono un parco giochi, un teatro, una biblioteca in più. Però ho trovato una Calabria resistente in molti ambienti. Noi parliamo spesso di chi va via, ma c’è anche chi resta. Rispetto a dieci anni fa ho trovato una Calabria più ricca proprio nel mondo dell’associazionismo, dell’agricoltura, del turismo e della cultura. Quello che ho trovato peggiorato sono le risposte che deve dare la politica regionale. Qui il vero potere pubblico lo ha la regione, non ci sono grandi aree urbane. Per questo non è un’elezione come un’altra. Il fiume di denaro pubblico è una grande opportunità ma può diventare anche iattura. Se quel denaro continuerà a consolidare bisogno, sudditanza e rassegnazione. Se invece va nelle mani di persone che sono in grado di mettere in campo – e la mia storia parla per me – valori come onestà, abnegazione, passione, competenza, autonomia, con una squadra forte, rispetto nei confronti del governo ma senza mai andare con il cappello umano, avrai quelle condizioni che ti consentono di rilanciare. Non sottovalutate l’impatto emotivo che una vittoria con un risultato popolare per De Magistris può avere. Il messaggio non è la vittoria di De Magistris, è la voglia di rivincita dei calabresi».
A proposito di depurazione, in dieci anni abbiamo speso quasi un miliardo di euro sui depuratori della costa. Tutti i governi regionali hanno fatto la stessa cosa: affidarli ai Comuni. I risultati però sono quelli che conosciamo. Lei cosa pensa di fare?
«Intendo istituire una stazione unica appaltante in Regione. Altrimenti perdiamo la gran parte dei fondi del Pnrr, la maggior parte dei comuni non è in grado di fare progetti e partecipare a gare. Io conosco le difficoltà dei sindaci e sarò un punto di riferimento per i Comuni. Sosterrò i sindaci, andrò in soccorso istituzionale. Sui depuratori dobbiamo da una parte migliorare tecnologicamente quelli che sono in condizioni di fatiscenza, realizzare impianti di nuova generazione e approfittare del Pnrr per l’ambiente, a differenza di quello che ha fatto Spirlì che non ha messo nulla per depuratori, impianti di terza generazione, etc».
A proposito di denaro, c’è anche il problema dei grandi gruppi che vengono in Calabria e lasciano le briciole.
«La Calabria non sarà più terra di colonizzazione. Non può essere terra in cui multinazionali vengono ad accaparrarsi fonti energetiche nel mare di Crotone e mettere in crisi la pesca. Dobbiamo porre fine a queste centrali a biomasse che stanno distruggendo le foreste, a questi parchi eolici che non hanno senso. Basta, l’economia circolare dobbiamo rilanciare, non quella del profitto criminale di pochi. Poi se vuole venire qualche grande industria bene, ma non a saccheggiare, approfittando di una politica non autorevole».
(le domande sono state poste da Massimo Clausi, Maria Francesca Fortunato, Valerio Panettieri e Rocco Valenti)
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