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Luigi de Magistris, Amalia Bruni e Mario Oliverio

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Mi si scusi se la prendo alla lontana, ripartendo dalla vecchia cassetta degli attrezzi messa in soffitta in tempi recenti, e non solo in Calabria. Nel secolo passato in Italia fece scuola e pensiero un saggio di Norberto Bobbio, pubblicato da Carmine Donzelli (editore progressista di origini calabresi), in cui si analizzò con punto fermo come i due schieramenti di Sinistra e Destra avessero idee e prassi molto differenti sull’eguaglianza.

Fu un preambolo decisivo che spianò la strada al nascente bipolarismo italiano. In Calabria, dal primo sorgere del voto regionale bipolare, il centrosinistra ha sempre avuto le sue pastoie nel dover saper recuperare fronde di sinistra critica al proprio interno.

Da Rifondazione Comunista guidata dal socialista Crupi, che ottiene la sconfitta di Veraldi nel 1995, alle irruenze di professori e girotondisti, agli assorbimenti della Sinistra ufficiale determinati da primarie per delegati, la storia della Sinistra calabrese tra i recenti due secoli ha impattato sempre con questa dialettica.

A prendere come misura il Duemila, la Sinistra nelle urne ha perso tre volte (Chiaravalloti, Scopelliti, Santelli) e ha vinto due con Agazio Loiero e Mario Oliverio. Una Sinistra logorata, quindi, non dalla mancanza di potere ma da un perpetuo allontanarsi in forma progressiva dalla difesa dell’eguaglianza e da una concentrazione totale, con le proprie reti di riferimento, del consenso che ne hanno determinato un bing bang sotto gli occhi di tutti, salvi i pacchetti elettorali di molti politici di professione.

La premessa era doverosa per comprendere perché in Calabria a pochi giorni dalle liste abbiamo tre candidati governatori che appartengono al campo di Sinistra e che non hanno espresso una capacità di sintesi, limitandosi a tentare l’accordo sotto banco. Con voto a turno unico, diritto di accesso solo a chi conquista la piazza d’onore, questa cronaca di una sconfitta annunciata (salvo rinsavimenti che non si intravedono) mettono in campo tre schieramenti di Sinistra che meritano quantomeno di essere identificati.

Abbiamo la Sinistra istituzionale a forte vocazione commissariale. Fa decidere tutto a Roma perché il territorio e i lacerti dei partiti che ne fanno parte non hanno nessuna forza di autonomia. Dirigenti e rappresentanti (fatta qualche eccezione) pensano soltanto al proprio destino personale, mettendo in subordine il partito e la loro comunità dispersa a vagare nel deserto come le tribù ebraiche dopo la fuga in Egitto.

È una Sinistra da classe dirigente in trincea. Si riuniscono spesso a distanza i marescialli che già consegnarono a Roma la disfatta di Callipo. Impongono dall’alto, costruiscono e sfilano tele politiche meglio di Penelope. Hanno referenze con gli antichi fedeli alla linea del vecchio Pci, Dc e qualche Psi.

Non si è compresa la loro idea di governo. Hanno perso tempo in un casting di candidati diversissimi sacrificati per motivi palesi e oscuri. È finalmente arrivata una candidata convincente e presentabile. La ricercatrice Amalia Bruni, che almeno recupera delle appartenenze perdute, e che grazie alla sua attività professionale gode di una riconoscenza personale da parte di famiglie attanagliate da malattie degenerative. È una candidata che spesso dice cose di sinistra, ma è molto sprovveduta sul piano della comunicazione eterodiretta dai soliti commissari.

Il casting finalmente indovinato ha consentito di recuperare l’ondivago movimento civico di Tansi che ha imposto in dotazione un codice etico (condizione un tempo prepolitica) e anche l’occasione per far infilare opportunisti dell’ultim’ora in uno schieramento a trazione Pd e 5 Stelle che ha messo sotto il suo mantello cespugli di ogni colore e provenienza. Moltissime le defezioni di militanti ed elettori ma la loro proposta va adesso alla conta finale.

«Io non sono un candidato di centrosinistra ma un uomo di Sinistra che parla ai calabresi», disse Luigi de Magistris, quando si autoproclamò, nei panni  di novello Robespierre, capo di una formazione molto giacobina, che strizza l’occhio ad un giustizialismo velato per il suo ruolo da pm, che ha perseguito molti esponenti in una terra fertile per il voto di protesta al consociativismo destra-sinistra.

Il blitz ha avuto successo ottenendo il plauso della Sinistra radicale e del mondo intellettuale in rotta con la Sinistra ufficiale che vuole avere ragione di gruppi dirigenti che perdono pezzi. Vocazione civica  che si vorrebbe far alzare come un’onda ma un verticismo leaderistico eterodiretto da Napoli ha lenito molto passioni per la mancanza di discussione collettiva. Anche il punto di forza di Mimmo Lucano è sempre più flebile. Si sente poco e fa molto da sé.

La mobilitazione sul territorio di de Magistris è penetrante borgo per borgo. Si è defilato Tansi e anche uno spezzone neoborbonico di una costellazione molto ideologica ma poco strutturata nelle sue articolazioni di partecipazione. Una sinistra populista, leaderistica e gruppettara molto autoconvinta di essere il centro del mondo.

La terza Sinistra è quella del Partito Regione di Mario Oliverio. Espressione revanscista del leader di riferimento, il quale ha esercitato qualunque mandato istituzionale, ha le sue centurie in diversi municipi, negli uffici della Cittadella regionale, in un ceto medio che ha beneficiato di incarichi e sostegni. Molto meno forte di altri modelli come quello emiliano e toscano ha progressivamente perso contatto con il mondo popolare dei subalterni di ogni condizione.

In Calabria è l’espressione di rivolta contro il centralismo dei partiti romani che non discutono ma impongono. La Sinistra del partito Regione critica anche il giustizialismo locale gratteriano, ma per questioni antropologiche e forse storiche non riesce ad avere la voce adatta per ottenere un’ampia chiamata dei molti sensibili al tema. Strutturata come una corrente leaderistica, il Partito Regione di Oliverio contempla chiarori laburisti striati da politicismo politicante.

Le tre sinistre calabresi si dividono contro una monolitica destra affiatata e strutturata. Tre Sinistre che non riescono e non vogliono essere una sola. L’obiettivo condiviso di ognuno al momento sembra quello di far perdere bene le altre due.

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