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In Calabria 52 Comuni in dissesto con 692 milioni di euro di esposizione debitoria, tra gli effetti più tasse e tagli del personale


Questa volta è la mappa dei Comuni in dissesto e predissesto che porta, purtroppo, la Calabria ai vertici della classifica italiana, assieme a Sicilia e Campania. Con 52 municipi coinvolti nella procedura di dissesto attivo al 31 dicembre 2023, infatti, la nostra regione si distingue per un forte deterioramento del quadro della finanza degli enti locali, che colpisce i territori in modo acuto e assai diffuso. La popolazione coinvolta è pari a 365.000 abitanti (di cui 66.102 a Cosenza). Solo 4 sono i comuni con più di 15.000 abitanti, 31 sotto i 5.000 e 15 nella fascia intermedia, tra 5.000 e 15.000. La passività complessiva è di 692,1 milioni di euro.

E 37 SONO IN PREDISSESTO ATTIVO

Ai numeri di cui sopra bisogna poi aggiungere i 37 comuni in condizioni di predissesto attivo. La popolazione interessata, 261.988 abitanti, si è ridotta rispetto al 2022 per l’uscita di Reggio Calabria e Vibo Valentia, entrambe oggetto di specifici interventi di risanamento. In questo caso, i comuni con più di 15.000 abitanti sono tre (Lamezia Terme, Rende e Montalto Uffugo) e 22 Comuni si collocano sotto la soglia dei 5.000 abitanti. La massa passiva ammonta a 226,8 milioni (fonte VII Rapporto Ca’ Foscari sui comuni 2024 –  a cura di Marcello Degni). Ma non è un fatto contingente. In totale, secondo la relazione annuale della Corte dei Conti, oltre il 52% dei comuni calabresi dal 1989 in poi ha dovuto affrontare una procedura di riequilibrio finanziario. Nel resto d’Italia siamo al 13%.

LA CALABRIA DEI COMUNI IN DISSESTO: LE CONSEGUENZE

Le conseguenze sono molto gravi, perché la condizione di dissesto finanziario non solo influenza in modo determinante le politiche economiche dei governi locali per lunghi periodi, ma produce da subito un aumento rilevantissimo dei tributi, a fronte di un abbassamento dei livelli dei servizi e di una drastica riduzione degli investimenti in infrastrutture, generando pesanti e impopolari difficoltà per le famiglie e le imprese. E il falcidiante blocco del turn over, negli anni, ha ridotto in modo drammatico, fino al 70/80 % rispetto alle piante organiche, il numero di risorse umane a disposizione dei Comuni. Da qui  un’assoluta incapacità di assicurare una puntuale rendicontazione e riscossione dei tributi, che rappresentano la posta di bilancio in entrata più cospicua per gli asfittici bilanci comunali.

DIMENTICARE GLI EVASORI INCALLITI

Altre ragioni, in realtà, hanno contribuito a produrre questo gravissimo risultato, a cominciare dal radicato e antico malcostume di “dimenticare” gli evasori incalliti per banali ragioni elettorali. Una sorta di captatio benevolentiae che in Calabria, ma non solo, appare radicata e, se vogliamo, sostanzialmente gradita ad una certa classe politica ma anche ad alcune fette di popolazione e del mondo produttivo. La condizione finanziaria drammatica in cui i Comuni si dimenano è tuttavia figlia anche delle scelte dei governi nazionali che sono apparsi, sia pur con alcuni distinguo, piuttosto severi con le periferie del Paese e assai sensibili con i grandi centri.

LE AZIONI STABILITE DAL TUEL43

Ma quali sono, nello specifico, le azioni stabilite dal Tuel (Testo Unico degli Enti Locali) che vengono effettuate subito dopo una dichiarazione di dissesto? Vediamo. I processi sono: 1) Nomina da parte del Ministero dell’Interno dell’OSL (Commissione Straordinaria di Liquidazione), che ha il compito di gestire l’importante fase attraverso la verifica e il pagamento delle passività accumulate prima del dissesto, anche promuovendo un’azione di mediazione e riduzione del debito con i creditori; 2) Blocco dei pagamenti fino all’approvazione di un piano di riequilibrio.

E poi: 3) Adozione da parte dell’Ente di un piano di riequilibrio economico-finanziario, che in genere dura 5 anni (ma ci sono casi attivi da oltre 10) attraverso il quale si introducono misure drastiche, come l’alienazione di beni patrimoniali, l’aumento della tasse locali (Imu, addizionale Irpef) e i tagli ai servizi comunali. 4) Controllo costante della Corte dei Conti su gestione economica e piano di riequilibrio, che valuta l’efficacia delle misure intraprese e verifica la legittimità degli atti finanziari.

LA CALABRIA DEI COMUNI IN PREDISSESTO: COSA FA LO STATO?

Lo Stato è chiamato anche finanziariamente a fare la sua parte a sostegno del processo di riequilibrio dei bilanci comunali. E lo fa intervenendo con misure di “accompagnamento”, che si dispiegano in più fasi e includono strumenti normativi e finanziari specifici, che essenzialmente sono: fondo di rotazione per il riequilibrio finanziario degli enti locali, attraverso il quale i comuni in dissesto possono richiedere anticipazioni di liquidità per coprire i debiti pregressi e finanziare il piano di riequilibrio. 2) Contributi statali straordinari.

Tuttavia, spesso e in particolare per una fascia di comuni ben individuata, gli aiuti in argomento non vengono ritenuti adeguati, per due ordini di motivi: 1) Esiguità dei contributi per anno; 2) Criteri di ripartizione degli aiuti. Per capire meglio la questione, come sempre, c’è bisogno di ricorrere ai numeri. In Italia, a metà 2024, si registravano 213 comuni in dissesto finanziario in corso, tra cui Catania, e 257 in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, tra cui Napoli (fonte Fondazione nazionale Commercialisti). Comuni che si concentrano principalmente nelle regioni meridionali, e nel 45% dei casi (e qui le forti critiche al sistema), si tratta di enti con popolazione inferiore a 5mila abitanti, e fra questi, addirittura, il 24% rappresentato comuni con popolazione sotto i 2mila abitanti.

La situazione attuale, in conclusione, non solo crea notevoli squilibri nei conti dello Stato, che nella bozza della prossima manovra finanziaria approvata dal C.d.M. prevede un ennesimo taglio di 4 miliardi sui trasferimenti agli enti locali, ma si abbatte drammaticamente sulle popolazioni amministrate, e, soprattutto, scoraggia il ricambio nelle amministrazioni periferiche, mortifica la partecipazione della nuova classe dirigente e finisce per perpetuare radicate e non sempre corrette consuetudini.

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