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RIACE (RC) – Fino a poche settimane fa se dicevi Riace dicevi accoglienza, fratellanza e pace; e grazie a questa nuova via il paese aveva definitivamente elaborato il lutto dall’esproprio dei bronzi, che a Riace ci sono rimasti per secoli finché sono restati in mare. Perché per oltre un decennio il piccolo centro sulla costa jonica reggina è stato considerato modello delle politiche di integrazione per rifugiati e richiedenti asilo. Tanto che per anni ci si è battuti affinché il ministero dell’Interno abolisse strutture come i Cie e i Cara, evitasse di gestire i flussi migratori con le logiche dell’emergenza e ampliasse al Sistema centrale di protezione proprio il cosiddetto “modello Riace”, che era eccellente. 

Una storia di eccellenza che ha convinto perfino il registra tedesco Wim Wenders a stravolgere la sceneggiatura del cortometraggio intitolato “il volo” per dedicarvi più spazio e attenzione al sindaco Mimmo Lucano e alla sua varia e vasta umanità migrante. Una storia che oltre all’autore de “Il cielo sopra Berlino”, ha portato in questa terra altrimenti di sola ‘ndrangheta i giornali e le televisioni di tutto il mondo, il presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e il ministro per l’integrazione Cécile Kyenge Kashetu (prima che questo ministero venisse abolito). Ora che l’ampliamento del sistema Sprar c’è stato – con circa 400 domande accettate in tutta Italia che ha portato il numero dei posti disponibili da 3000 a 20.000 circa- si è consumato il paradosso. 

L’allargamento del numero di beneficiari da inserire nel programma, invece di portare più gente anche a Riace, ha finito per mandarla via da lì, con la fine traumatica di un progetto e dei percorsi di integrazione sociale dei quasi 170 beneficiari di protezione che sono stati mandati via (su 240 ospiti presenti prima delle graduatorie) da un luogo dove vivevano da anni e dove avevano cominciato a piantare radici e intessere trame umane. Anche i bambini che stavano frequentando la scuola hanno dovuto lasciare la classe, a metà anno scolastico. Insomma: una specie di beffa per il principio ispiratore dello stesso Sistema di protezione per il quale è astrattamente «essenziale collocare al centro le persone accolte quali non sono dei meri beneficiari passivi di interventi predisposti in loro favore, ma protagonisti attivi del proprio percorso di accoglienza». Sì, perché la nuova graduatoria finale pubblicata nelle settimane scorse dalla Commissione di valutazione del ministero vede Riace molto in fondo, con un numero massimo di 15 beneficiari assegnati freddamente (come previsto per tutti i comuni con meno di 5000 abitanti, ai quali si possono aggiungere altri 15 posti supplementari in caso di necessità), ben più in fondo di soggetti attuatori come, per esempio, il Comune di Africo (che può ospitare lo stesso numero di persone) che invece ha ottenuto una migliore valutazione matematica nonostante non abbia mai fatto accoglienza. 

«L’ampliamento dello Sprar – commenta Enza Papa, dell’associazione La Kasbah che da anni gestisce i progetti di accoglienza in Calabria, per spiegare i criteri di valutazione – è un segnale positivo, ma non possiamo tacere un dato preoccupante: all’ultimo bando hanno potuto candidarsi anche enti gestori che hanno speculato sul business della cosiddetta Emergenza Nord Africa, lasciando per strada centinaia di persone allo scadere dei fondi. In pratica, l’aver gestito questi “grandi progetti” li ha favoriti nell’approvazione di progetti all’interno di una rete, lo Sprar, nata invece su basi antitetiche alle logiche dei grandi volumi con cui, nei centri governativi e nelle strutture dell’ex Emergenza Nord Africa, le persone vengono trattate, come numeri e non come persone portatrici di identità specifiche e diritti inviolabili». 
E lo stesso rammarico c’è nelle parole di Mimmo Lucano, detto “U curdu” proprio per quella sua “vicinanza emotiva” al partito dei lavoratori del Kurdistan e alla vicenda giudiziaria del leader del Pkk, Abdullah Öcalan che nel 1998 venne in Italia e chiese asilo politico al nostro Paese: «Mi sono trovato ad occuparmi di accoglienza per una pura questione di identità politica. C’era da tendere una mano ai compagni curdi, che alla fine degli anni Novanta arrivarono sulla costa Jonica, e gli abbiamo dato ospitalità perché tanto, da noi, spazio ce n’era, visto che il nostro paese si era quasi completamente spopolato. Da lì è nato tutto». E per concludere, il già assurdo epilogo di questa storia, c’è anche il rischio dei guai giudiziari per Mimmo Lucano, che è stato diffidato dal Ministero a dare accoglienza a tutti quegli ex ospiti che dopo essere stati trasferiti negli altri progetti – come per esempio a Policoro – stanno scappando per tornare a Riace.
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