REGGIO CALABRIA – Prevenire è meglio che curare. Così per la salute dell’uomo, come per quella del territorio. La Calabria, però, non ha mai risposto a questa esigenza. Troppo spesso è stata l’emergenza a guidare la mano di chi ha amministrato la cosa pubblica ed ha avuto a che fare con le ricadute, spesso drammatiche, del dissesto idrogeologico. Per forza o per convenienza. In quattro anni, dal 2008 al 2012, per tamponare le emergenze è stato speso oltre un miliardo di euro. La Calabria, però, insieme alla Toscana è la regione d’Italia che, negli ultimi sessanta anni, ha registrato il maggior numero di “eventi eccezionali”. Dal 1948 al 2011, secondo un report di Legambiente, sono state 22 le emergenze di carattere idrogeologico cui si è dovuto fare fronte. Ci sarebbe bisogno di una programmazione seria.
Nel 2010, esattamente il 25 novembre, per porre rimedio ad una situazione di annosa emergenza e mettere mano ad un piano di mitigazione del rischio venne sottoscritto dalla Regione Calabria e dal ministero dell’Ambiente un Accordo di programma quadro. L’intesa, siglata in calce dal governatore Scopelliti e dal ministro Prestigiacomo, metteva sul piatto 220 milioni di euro: finanziati a metà dallo Stato e dalla Regione Calabria. Un mucchio di soldi che, certo, non avrebbero risolto il problema ma con i quali si sarebbe potuto dare attuazione a 185 progetti definiti “urgenti e prioritari”. O meglio si sarebbe dovuto. Dal 2010 ad oggi, infatti, i fondi sono stati parzialmente adoperati. E’ difficile stabilire quante risorse sono state impegnate, quante spese e, soprattutto, quanti cantieri siano stati aperti.
Per Agazio Loiero, ex presidente della giunta regionale che per combattere il dissesto, dopo un lungo braccio di ferro con Bruxelles, aveva reperito circa 1 miliardo di euro, sarebbe, invece, concreto il “rischio che quei fondi non ci sarebbero più, forse perchè spostati su altri capitoli di bilancio”.
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