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REGGIO CALABRIA – Chi è stato condannato per mafia non perde il diritto al vitalizio derivante dalla carica di consigliere regionale. Un principio stabilito da una legge regionale che però rischia di diventare rapidamente un vero e proprio caso capace di far esplodere la polemica all’interno di palazzo Campanella dove più di un consigliere ha chiesto che la legge venga al più presto rivista correggendo quella che viene considerata una forte stortura.
La norma riguarda la riduzione dei costi della politica, una legge regionale approvata in fretta dalla conferenza dei capigruppo e poi licenziata all’unanimità negli ultimi giorni dello scorso anno. Una riforma voluta dal presidente del consiglio regionale Franco Talarico che però lascia spazio a più di un dubbio. Nello specifico sono due le norme sotto osservazione: l’articolo 8 e l’articolo 6. Il primo stabilisce i criteri di “esclusione dell’erogazione del vitalizio” per il consigliere regionale e prevede che il titolare di detto assegno vitalizio, condannato in via definitiva per i reati previsti nel titolo II del codice penale – quello riferito ai delitti contro la pubblica amministrazione – debba rinunciare al benefit previsto da una vecchia legge regionale (dalla prossima legislatura, infatti, nessun nuovo consigliere regionale potrà godere del vitalizio). Se un consigliere regionale, quindi, venisse condannato in terzo grado di giudizio per concussione, malversazione, peculato, corruzione, abuso di ufficio o altro sarebbe costretto a rinunciare al suo assegno di “pensione”. Cosa diversa in caso di condanna per associazione mafiosa, concorso esterno, scambio elettorale politico-mafioso. Un controsenso per una regione che ha registrato l’arresto, fra gli altri, di Mimmo Crea (che proprio in questi giorni pare si sia visto riconosciuto il vitalizio da parte degli uffici di Palazzo Campanella, pari a un compenso lordo di circa 6 mila euro), Santi Zappalà, Cosimo Cherubino, Antonio Rappoccio e Francesco Morelli. Inoltre, stante il dettato normativo, il benefit potrebbe rimanere nelle tasche anche di quel consigliere che si dovesse macchiare di un reato inserito dal codice penale nel titolo XII che raggruppa i delitti contro la persona: quali l’omicidio, le lesioni o le percosse. Anche una condanna per truffa, stando così le cose, non inciderebbe più di tanto sulle prerogative di un consigliere regionale calabrese. Questa norma, comunque, può trovare applicazione per tutti i consiglieri regionali che sono passati dall’aula del palazzo regionale entro la stagione politico-amministrativa in corso. L’articolo 6, invece, predispone una modifica alla legge del 1996 che fissava i criteri per il trattamento indennitario di coloro che vengono eletti alla carica di consigliere. La norma non prevede la cessazione del pagamento del “mensile” al consigliere che dovesse incappare nelle morse della giustizia, ma al comma 3 stabilisce che “ai consiglieri che cessano dalla carica nel corso della legislatura l’emolumento è corrisposto fino a quando viene meno il diritto di partecipare alle sedute del consiglio”. La norma è stata votata all’unanimità da tutti i capigruppo in consiglio regionale e, dopo una breve relazione di Talarico, è stata votata sempre all’unanimità da tutte le forze politiche presenti dentro l’Astronave.
Sulle problematiche derivante da questi 2 articoli sono intervenuti i consiglieri di Idv, che pure hanno partecipato alla votazione e hanno approvato la norma. Il capogruppo Emilio De Masi, Giuseppe Giordano e Domenico Talarico hanno scritto al presidente Franco Talarico per chiedere la convocazione di un consiglio regionale per la modifica della legge sulla riduzione dei costi della politica. Idv mette in luce che «le recenti disposizioni in materia approvate dal Consiglio prevedono – si legge – un’esclusione dal godimento del benefit dei Consiglieri condannati per reati contro la pubblica amministrazione, mentre non contemplano alcuna limitazione od esonero per i casi ben più gravi di condanne per reati di mafia». Verrebbe da chiedersi perché non sia stata fatta notare subito l’incongruenza e i consiglieri di Idv pare rispondano all’obiezione facendo ammenda della propria “distrazione”: «La necessità di dare risposte in tempi brevi all’opinione pubblica in tema di riduzione dei costi della politica, non ha consentito, a tutti noi – affermano – di esaminare in maniera approfondita il testo e approvarlo senza gli evidenti errori che la stampa ha opportunamente segnalato».
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