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REGGIO CALABRIA – I vertici della Lega sapevano tutto. Sapevano degli imbrogli fatti dal tesoriere Francesco Belsito con i capitali mandati in Tanzania e a Cipro. Sapeva Umberto Bossi, ma sapeva anche Roberto Maroni e Roberto Castelli, come pure erano informati tutta una serie di altri dirigenti del Carroccio. Erano informati fin dalla fine di gennaio, quando l’imprenditore Stefano Bonet, lo “shampato” aveva capito che sarebbe finito nel vortice dello scandalo assieme a Belsito. Giorni in cui per tentare di salvare il salvabile si era attivato per incontrare i vertici lumbard per raccontare tutto quello che era avvenuto.
Secondo quanto si legge in un’informativa della Dia di Reggio Calabria Bonet aveva anticipato un bel pacco di soldi a Belsito. Il quale aveva chiuso l’operazione degli “investimenti” all’estero mettendo assieme soldi della Lega e quelli dell’imprenditore. Un’operazione che non era autorizzato a fare come tesoriere e che, fatto ancor più grave, era a limite della legalità.
L’intero periodo viene registrato dalle intercettazione disposte dal pm Giuseppe Lombardo e messa assieme dagli specialisti della Dia. Dialoghi che riguardano lo stesso Bonet, il faccendiere considerato vicino alla famiglia De Stefano, Romolo Girardelli, Castelli e un personaggio che funge da anello di congiunzione che procura a Bonet gli incontri con i vertici della Lega e che lo informa delle dinamiche interne al partito. Il primo riscontro agli incontri è del 27 gennaio (due mesi prima dello scandalo), sui giornali è appena esplosa la vicenda dei fondi leghisti all’estero. Romolo contatta Bonet «per informarlo che avrebbe incontrato oltre a Maroni e Castelli anche Calderoli. Bonet è un po’ scettico della cosa perché dalle informazioni in suo possesso all’incontro ci sarebbero stati solo Maroni e Castelli». Due giorni dopo Bonet chiama Paolo Scala (mediatore d’affari, anch’esso coinvolto nell’inchiesta) per avvertirlo che l’incontro con i vertici della Lega era stato spostato al pomeriggio alle 18,00».
Finito l’incontro Bonet ragguaglia il suo socio Girardelli spiegandogli che «non vi era Bobo (Baffetto, alias Maroni verosimilmente) bensì solo Alberto Cast … Stefano esterna delle perplessità asserendo che gli era stato garantito che vi sarebbero stati tutti e tre e Romolo gli fa notare che Calderoli aveva già detto ieri che non vi sarebbe stato. Alberto (verosimilmente) ha detto (a Bonet) che gli è stata data una bella rogna motivo per il quale ha preso dei giorni per vedere come poter procedere. Romolo chiede se si sia comportato in modo amichevole e Stefano gli da conferma». Bonet dice che era presente anche Erica Rivolta (parlamentare Lega) definita dall’imprenditore la numero 3 dei Maroniani. Il primo febbraio Bonet veniva contattato da Castelli «il quale aveva necessità di incontrarlo essendo arrivati ad una conclusione positiva per la vicenda». I due stabilivano di vedersi il venerdì successivo (3 febbraio) a Milano, intorno alle 16,00. A tale proposito «il parlamentare lo informava che la procedura che verrà utilizzata per il rientro dei capitali, ricalcava quella che il Belsito gli aveva anticipato in una precedente mail al Bonet».
Il due febbraio l’imprenditore chiama Paolo Scala (che ha gestito l’operazione su Cipro) per informarlo che l’indomani avrebbe visto i vertici federali della Lega «tra cui Castelli, Bossi e Maroni ed avrebbero predisposto la documentazione per poter chiudere l’intera vicenda. Scala replicava che in mattinata aveva mandato una mail indirizzata ai vertici del partito nella quale richiedeva le indicazioni su carta intestata, di come far rientrare i soldi per evitare problemi e quant’altro».
Il 3 febbraio, Castelli chiama Bonet per informarlo che si sarebbero visti alle 16,30, presso la sala Vip della Sea dell’aeroporto di Linate. Dopo la riunione Boent telefona a Scala e lo aggiorna sull’incontro. «Faceva Presente – si legge nell’informativa della Dia – che tutto era andato bene definendo il parlamentare una persona precisa e puntigliosa». L’imprenditore affermava che «all’interno della Lega sarebbero di fatto scattati dei meccanismi che avevano innescato un’indagine approfondita in merito alla vicenda». Castelli «avrebbe espresso il desiderio di chiudere la vicenda nel più breve tempo possibile ed a tal proposito aveva richiesto una lettera a Bonet, attestante che i fondi erano fermi in attesa d’istruzioni». In questo senso Bonet aveva «provveduto a redigere immediatamente quanto richiesto aggiungendo che avrebbe inoltrato il tutto anche ai consiglieri federali. Questi avrebbero poi risposto con una missiva spiegandogli l’accaduto e dandogli nel contempo indicazioni su come muoversi».
Tra l’altro Castelli avrebbe chiamato l’ex socio di Belsito per «dirgli che si era sentito con Bossi ed entrambi convenivano che non veniva messi in discussione i suoi 200 mila euro». Qualcosa però non va per il verso giusto e, a quanto pare i vertici della Lega non vogliono restitire i soldi a Bonet. Per questo chiama «piuttosto incazzato» l’anello di congiunzione che incuriosito dalla frase dell’utente chiede le ragioni della sua rabbia e questo risponde «che si trova insieme al suo avvocato, e che nota che ci sono persone che non voglio risolvere il problema, e che anzi, si stanno organizzando per fregarlo ancora di più (testualmente: stanno cercando di incularmi senza vasellina)».
Inoltre, chiede il senso del ragionamento del Bonet «e questo risponde che tutta la documentazione che fino ad oggi gli è arrivata, in sostanza sono delle intimidazioni e non sono bonarie lettere per sanare la situazione. Esprime quindi un suo dubbio, che le lettere sono di fatto, tutte scritte dal Belsito e quindi, la situazione che si sta prospettando non gli va bene perché Castelli gli aveva prospettato un altra soluzione, cioè, che gli avrebbe prima fatto leggere le relazione che avrebbe mandato al capo (Bossi, ndr), perché le bozze dovevano essere concordate e discusse assieme, invece, gli sono già pervenute le lettere autenticate dal notaio e non si possono più cambiare». Insomma, la vicenda resta appesa fino allo scandalo della scorsa settimana che ha portato agli avvisi di garanzia, ma alla Lega si sapeva ogni cosa almeno due mesi prima.
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