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Il porto di Gioia Tauro

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La Calabria delle speranze e del futuro si è presentata all’Expo universale di Dubai con tutte le sue enormi potenzialità: porto di Gioia Tauro, agricoltura, ricerca universitaria, patrimonio culturale e ambientale che è connesso con la principale attività economica dei prossimi anni il turismo. Sono risorse straordinarie su cui contare per uno sviluppo che la liberi dal suo deficit economico e civile.

Il momento per scendere sul terreno è propizio. L’occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è unico e irripetibile. Ma occorre vigilare perché le cose si facciano bene e perbene, con le professionalità giuste e competenti, tenendo lontano mafia e sistemi corruttivi. Preparandosi pure a respingere gli assalti di chi è abituato a saccheggiare e ingannare il Sud. Vigilare sull’eterna tentazione che ha il Nord di fregare il Sud.

La brama delle “coalizioni” dell’inganno (e del fastidio per il Sud) è sempre viva, come dimostra il fuori onda di Beppe Sala sindaco di Milano che dice a Fontana presidente della Lombardia: “Tutto sud, sud, sud”.

Sala è recidivo. E’ sua pure l’espressione: “Stessa paga a Milano e a Reggio Calabria? Sbagliato”.

Attenzione, dunque, perché il terreno è disseminato di trappole, popolato di soggetti che remano contro il Sud, Calabria in particolare. Sono quelli che usano la mafia come alibi perché non si faccia niente. Sono i padri e i figli di coloro che hanno propiziato lo sviluppo distorto del Sud che ha favorito illegalità con la conseguenza del riprodursi di una spaventosa crisi che ha favorito l’incontrollata espansione del fenomeno mafioso.

Ha fatto bene il presidente Occhiuto a mettere le mani avanti: “La ‘ndrangheta ci fa schifo, ma non può essere un alibi per non fare nulla”. Lo sanno i calabresi, sperimentandolo sulla propria pelle che la mafia è il male assoluto, la palla al piede che ne frena lo sviluppo. Ma la mafia è pure alibi formidabile per Governi, imprenditoria, aziende dello Stato, per non muovere un dito per lo sviluppo della regione fanalino di coda dell’Europa, appena un gradino sopra delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla in terra africana.

Non solo indifferenza c’è stata verso la Calabria in più di un secolo e mezzo di unità nazionale ma anche un’odiosa etichettatura di Calabria “zona del male”, mistura micidiale se messa insieme all’abietto remare contro.
Ricordate il “ti caccio” (intercettazione della magistratura) durante la telefonata tra il ministro dei Trasporti Claudio Burlando (all’epoca Pds) e il presidente delle Ferrovie dello Stato Lorenzo Necci, se quest’ultimo avesse fatto partire un solo treno dal porto di Gioia Tauro? Burlando è genovese, difendeva il porto della sua città, ma era pure un ministro che danneggiava la Calabria per favorire la sua regione. E ricordate – sempre su Gioia Tauro – il tentennare del ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli (Pd) nel Governo Conte bis per confermare l’ammiraglio Andrea Agostinelli al vertice dell’Autorità portuale di Gioia Tauro?

L’incertezza qual era? Agostinelli stava rilanciando Gioia Tauro. A chi dava fastidio? A chi non piaceva? E per quali oscuri motivi? Vigilare e alzare la voce, tenere occhi aperti sulle insidie e pretendere uno sguardo diverso dal Governo, è questa la priorità. La Calabria però – va detto – è un concentrato di patologie inestricabili, con proiezioni cupe se non c’è un cambio di marcia nell’organizzazione della pubblica amministrazione. E’ inconcepibile che i fondi Covid non siano stati spesi (77 milioni di euro dice la Corte dei Conti) o, come denunciato da Occhiuto, non siano stati utilizzati fondi per una cifra che supera il miliardo di euro.

Bisognerebbe accertare le responsabilità di questi danni provocati da un sistema burocratico inadeguato e a volte perverso. Il Consiglio regionale dovrebbe promuovere un’inchiesta su queste cose inenarrabili.

Occorre, in ogni caso, prendere atto che c’è un problema cronicizzato di povertà di cultura amministrativa, dell’esistenza di un apparato della pubblica amministrazione reso sordo e cieco dalla politica. Perché questa situazione possa essere superata non bastano le buone intenzioni del governo regionale e del governo nazionale. Serve qualcosa di più.

Anni fa Sergio Zoppi (allora presidente del Formez) aveva ravvisato la necessità, specificatamente per la Calabria, di istituire un’Autorità di missione, in deroga alla legislazione nazionale e regionale, che fosse in grado di raggiungere i traguardi di riorganizzazione e risanamento della pubblica amministrazione nell’ultima regione d’Italia. Secondo Zoppi, solo in questo modo sarebbe possibile rompere quel circolo vizioso secondo il quale volta a volta si pensa che sia necessario vincere la mafia prima e poi promuovere lo sviluppo o al contrario prima realizzare concreti obiettivi di sviluppo e poi ingaggiare con successo la definitiva battaglia contro la criminalità.

“Lungi dal porsi tra di loro in modo disgiunto questi due termini della questione – secondo Zoppi – si reggono solo se tra di loro uniti e quasi complementari”.

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