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Marco Petrini

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C’è un dubbio che solo il tempo (non necessariamente lungo) potrà sciogliere, e forse non del tutto: il giudice Petrini, che ha ammesso davanti ai pm di Salerno diversi episodi di corruzione, ha detto tutto? Le cautele e il principio di presunzione di innocenza, in questo caso, sono quasi azzerate, perché Petrini – già presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro e oggi collocato fuori dal ruolo organico della magistratura dalla sezione disciplinare del Csm con la sospensione di stipendio e funzioni (LEGGI) – ha fatto nette ammissioni di responsabilità.

Ma quanto si è spinto, eventualmente, al di là degli episodi specifici che gli sono stati contestati, con a corredo ampia documentazione fotografica e video oltre a corpose intercettazioni telefoniche e ambientali? Il dubbio, che non è una insinuazione, ma, appunto solo un dubbio, appare del tutto legittimo a leggere, nelle carte dell’inchiesta, della “facilità” con cui interventi legati alle sue funzioni (di giudice ordinario e anche tributario, con ruoli apicali) erano oggetto di mercimonio a prezzi più o meno popolari (ma compaiono anche promesse di cifre molto consistenti, oltre a regali costosi che appaiono quasi come fronzoli nella surreale gravità della vicenda).

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Duemila euro, millecinquecento euro al mese, una “paghetta” per rendergli la vita più “piacevole” oltre che per soddisfare spese familiari che è meglio non citare perché si tratta di incombenze diffuse (come mantenere i figli all’università, e basta così) a cui centinaia di migliaia di persone fanno fronte con sudore e sacrifici, piuttosto che ricorrendo a nefandezze qualificabili forse solo sul piano penale (per quello morale occorrerebbe una lunghissima ricerca di termini adeguati nei dizionari più prestigiosi, e non ne vale la pena).

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Quel dubbio è alimentato, per esempio, da un interrogativo. Ma Petrini temeva di essere intercettato? È vero che gli investigatori della Guardia di Finanza lo hanno intercettato dappertutto, quasi certamente con i mezzi più sofisticati disponibili, ma è altrettanto vero che una certa cautela quantomeno pare avesse provato a prenderla. In questo senso un episodio appare rivelatore, ed è stato documentato dai finanzieri.

È fine dicembre 2018 (ancora non era stata pubblicata la notizia che c’erano 15 magistrati indagati in Calabria e non c’era quindi qualche ansia, se non preoccupazione, come emerge dalle intercettazioni): la moglie di Petrini ha avuto i complimenti da un altro magistrato (che nulla ha a che fare con l’inchiesta) per la bellezza di un regalo – un orologio molto costoso – che lei avrebbe fatto al marito. Ma che lei, evidentemente, non ha fatto, tanto che in una telefonata chiede conto al Petrini stesso. “Mi hanno detto che ti ho fatto un bel regalo, ma quale…” dice in buona sostanza al marito. E lui prima prova a far tornare la memoria alla consorte, invano (ma come, non ti ricordi?), poi rimanda la questione invitandola su queste cose a non “insistere” per telefono.

Una cautela? Inutile, come si è visto. E l’altra scheda telefonica che, a suo dire, usava solo per conversazioni con una delle donne con cui avrebbe avuto relazioni in cambio di favori? Non è tanto su cosa è stato documentato in maniera abbastanza univoca, non è tanto su quanto raccontato da altri indagati che collaborano, ma è per la dimestichezza con la corruzione (per come emerge dagli episodi confessati) che quel dubbio diventa pesante. Ha detto tutto?

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